“L’invidia è ammirazione segreta. Una persona piena di ammirazione che senta di non poter diventare felice abbandonandosi [rinunciando al proprio orgoglio], sceglie di diventare invidiosa di ciò che ammira…L’ammirazione è una felice perdita di sé, l’invidia un’infelice affermazione di sé.”
Ho scelto questa frase di Kierkegaard per parlare del massimo peccato capitale: l’invidia.
Non so che cosa sia perché non l’ho mai provata ma conosco bene gli effetti di quella degli altri nei miei riguardi.
Potrei sembrare presuntuosa. Ci sta. Ma voglio essere sincera, non avrebbe senso nascondersi. L’ho sentita sul collo molte volte. E’ come un venticello leggero, un sussurro, un respiro di fronde, passa leggera ma lascia il segno. Un’impercettibile senso di nausea, una leggera tachicardia e l’impressione di essere improvvisamente in pericolo.
Perché gli invidiosi possono fare male. Molto male. Invidia deriva proprio da vedere, guardare con occhi cattivi, in altre parole col mal occhio. Che sappiamo bene tutti che cosa sia. Anche a quelli che non ci hanno mai creduto è sicuramente passata vicino questa sensazione di disagio, una sorta di insetto fastidioso che non riusciamo a scacciare.
Quello è il segnale che qualcuno ci ha guardato, anche da lontano con l’occhio malo. Io faccio cosi, di solito: mi raccomando a qualcuno lassù. Non si sa mai, non è superstizione, ma semplice constatazione che l’invidia provoca una corrente malefica che passa dall’invidioso all’invidiato e può produrre danni, anche di tutto rispetto.
I miei trenta lettori si faranno una bella risata a leggere queste parole. Mi pare di sentirli. Ma chi sa di che cosa parlo non può non provare un piccolo brivido lungo la schiena a ripensare all’ultima volta in cui ha provato le sensazioni descritte.
Soprattutto le donne, soprattutto loro sanno bene di cosa parlo, sia le invidiose che le invidiate. Le prime sono di sicuro le più infelici, perché si rodono da mattina a sera per quella dote che hanno notato in quella che, a sentire loro, si da tante arie e si crede chissà chi…dote di cui lei sa di essere tragicamente sprovvista, ma che farebbe carte false per possedere. Ma perché la vita è cosi ingiusta? Si chiede l’invidiosa tra eccessi di ira che sfoga in tutti i modi possibili. Prendendosela col cielo, la terra e limitrofi e soprattutto, colpendo la malcapitata con gli strali prodotti dalla rabbia che la rode dall’interno, da mane a sera.
Studia tutte le possibili opportunità per scaricare addosso alla “vittima” le maledizioni che dovrebbero, secondo la sua mente malata (l’invidia può, a volte sfociare in nevrosi, sfido qualsiasi esperto del ramo a dire che non è cosi), almeno in quel frangente e quando la rabbia si manifesta, colpirla, farle quanto più male possibile, insomma farla soffrire in modo che l’ansia che l’attanaglia di non essere alla sua altezza (anche per motivi banali) si affievolisca e l’invidiosa riesca a riprendere il controllo di sé. Nel constatare la sofferenza della sua vittima, l’invidiosa gode.
Ma è un godimento effimero perché non appena scopre che la sua vittima si è ripresa e sopporta i suoi strali con quasi divina rassegnazione, diventa ancora più invidiosa e allora…apriti cielo, la sua rabbia diventa incontenibile.
Non si è mai abbastanza al riparo dall’invidia del prossimo, soprattuto, ripeto, delle donne verso le altre donne. Alcune possono diventare delle vere aguzzine. Delle megere il cui unico fine è quello di colpire in ogni modo la vittima che hanno mal addocchiato. E spesso ci riescono. Pettegolezzi, offese, ingiurie, diffamazione, punteruoli che graffiano l’auto, bigliettini di scherno o spalmate di materiale nauseabondo sulla portiera dell’auto o sulla porta d’ingresso. Il tutto, ovviamente, senza mai comparire coinvolte in queste “attività”, dando, anzi, l’impressione di essere delle vittime a loro volta. Delle perseguitate dal comportamento sempre inadeguato, sempre sopra le righe, sempre deplorevole. dell’invidiata. La quale, in genere, oltre che possedere delle doti che l’invidiosa vorrebbe tanto ma non può avere (o non si sforza per ottenere) è sempre circondata da uomini, polarizza l’attenzione maschile, ha una stomachevole facilità di attirare a sé gli sguardi. Insomma una che se la tira alla grande e gli uomini (i meno intelligenti, secondo l’invidiosa) cascano come allocchi nella sua rete.
Parlo, ovviamente con cognizione di causa. Ne ho esperienza (purtroppo) diretta. E più passa il tempo e più mi accorgo di quanto essere invidiati sia faticoso. Quasi altrettanto che invidiare. Quanto amareggi constatare che non vale il tempo che passa, non vale tutta la buona volontà per cercare di rendersi meno “invidiabile” possibile, anzi, ti fa sentire pure falsa, una che si nasconde, non è se stessa.
Per gli uomini è diverso, l’invidia è un fatto più sporadico anche se può scatenare persino pulsioni aggressive.
Basta dare una scorsa alle notizie politiche per rendersene conto. Il successo di quello o quell’altro politico, scatenano nell’avversario il peccato che sto analizzando: l’invidia più feroce. E basta guardare certe foto di alcuni quando vengono ripresi a loro insaputa mentre guardano in cagnesco l’invidiato: faccia livida, lineamenti alterati, ghigno stampato e guance rubizze oppure di un pallore mortale.
Epicuro ammoniva: vivi nascosto. Aveva ragione. Ma non funziona nemmeno cosi, prima o poi, quando decidi di non peterne più di nasconderti ed esci a prendere una salutare boccata d’aria, puoi ritrovarti l’invisioso tra capo e collo e la sera, immancabilmente, non riuscire neppure a girare la testa a causa di un improvviso torcicollo.
Io ho deciso di affrontarli a viso aperto, gli invidiosi, a tu per tu abbassano gli occhi, si sentono depotenziati, smarriti, sentono d’improvviso la loro meschinità e pochezza pesargli come un fardello insopportabile. La vigliaccheria li distingue sempre, è una dote, per nulla invidiabile che diventa il loro tallone d’Achille. E scappano, a gambe levate davanti a chi li guarda senza paura negli occhi.
E qualcuno riesce persino a pentirsi, a farsi schifo da solo. ma non mi faccio illusioni e non fatevene: per uno che si ravvede ce ne sono altri cento pronti a raddoppiare la cattiveria.
Salviamo il salvabile. Mettiamoci al riparo. Scudiamoci con l’ironia. Una risata, al momento giusto, se ci riesce di farla, non li seppellirà ma, almeno, li disorienterà, gli farà perdere per un momento la bussola ed è allora che l’antidoto entra in funzione e ci protegge dalle “intemperie”.
Dopo ogni temporale esce sempre il sole.