La città che respira

Quella città di me bambina

Non ha più gli occhi che

la scoprivano muti.

Non ha più voce che la

Notte serrava la gola ed

Il respiro fra le pareti

Di quelle vie strette

Quasi unite come

Amanti  timorosi

Di perdersi.

Ed il campo con la statua

e la fontana e

e i giochi e le corse e le risa

e la mia mano piccina dentro

quella mano che stringevo

per non perdermi mentre

accecata guardavo lassù

le guglie e i colombi che

mi sfioravano appena

e me ridente su quella

seggiola nera alta

sulla riva che quasi mi

lambiva i piedi e gli

uomini  a poppa delle

gondole e il fumo bianco

che saliva dall’acqua

di sera nella calura d’agosto.

E mia madre che sorride

Dall’alto del ponte e mi chiama

E arranco sospinta dalla gioia

E da quel cielo azzurro sopra

Di lei su quei gradini enormi

Fino alla cima, fino

Alla mela rossa a premio

Dello sforzo.

Venezia e mamma.  Due

Anime distinte e unite

Dal tepore di uno sguardo

E il calore di una mano.

Un vento impudico

Leggo: Nardini, Vallini, gonna svolazzante…consiglio regionale toscana, intervento sessista…e penso che cosa avrà mai detto il consigliere Vallini alla assessora Nardini?

Leggo oltre: la critica per come era vestita all’incontro di inizio anno col vescovo: portava una gonna inadeguata…cioè? dice che era svolazzante…ma che era sottovento? oppure svolazzava ad ogni movimento delle labbra della donna? e se svolazzava che faceva Vallini? si indignava? ha visto forse spuntare un ginocchio? Oh perbacco!

Il consigliere di Forza Italia, insomma non ha gradito quella gonna, non gli è piaciuta, la assessora Nardini deve chiedergli come si deve vestire perché lui è di gusti difficili, preferisce i tailleur pantalone. Pare sia andata proprio così, questo bel tomo si è lamentato per come era vestita questa donna spudorata che faceva svolazzare la gonna sotto ai suoi occhi che evidentemente non hanno fatto altro che guardarla. Il sospetto che questa signora non ci sia stata a qualche suo complimento mi viene. Per avere la faccia di bronzo da esporre una simile lamentela in consiglio regionale, deve averle prese di brutto.

E se le meritava tutte.

Consigliere, le consiglio una doccia fresca la mattina appena sveglio e non pensi sempre alle gonne delle assessore, l’argomento non è “squisitamente politico” ma indecentemente sessista e anche un tantino vendicativo. Non si fa.

Bravo, rascal

Sono sincera: non ci speravo ma avrei detto (ma non sottoscritto) che Donald Trump avrebbe almeno citato il conflitto russo -ucraino, inserito nella lista delle spesa che ha fatto davanti all’universo lunedì scorso. Niente. Questa parte del mondo per lui sembra non esistere e a parte un “non sta facendo bene” pronunciato a denti stretti nei riguardi del suo vecchio amico russo, non ha detto altro. Ma ha messo bene in chiaro che se ne frega del mondo intero e che penserà a fare l’America ancora più grande.

Obiettivo sacrosanto e nobile, non avesse detto e spergiurato che la guerra che ormai si combatte da tre anni in Ucraina, lui, l’avrebbe fatta finire in 24 ore. Sono di già passate ma, pare, la guerra sia più che mai in atto anche se i media sono affaccendati in “benaltre” occupazioni dato il macello mediorientale e le notizie giornaliere sull’insediamento del tyfoon.

Si è insediato alla grande con tanto di ballo con la mogliettina agghindata da Barbie, questa volta molto femminile e first lady like. Mentre lui, un Ken attempato ma ancora in gambe, guidava la compagna in un ballo del mattone un po’ incerto.

La faccenda però è seria e divagare non sarebbe giusto, non fosse che salta fuori spesso, mio malgrado, il mio spiritello satironico, non ci posso fare niente: sono fatta così.

Torniamo seri: Zelensky a Davos le ha sparate grosse (lo deve fare se vuole che qualcuno lo “curi”) . Ha detto che la vecchia cara Europa non fa abbastanza per fermare la guerra e che deve pensare seriamente a prendersi cura di sé (l’Europa) e che non deve pensare ancora di poter contare sugli Stati Uniti di Trump che, dice, anche se mostra di voler partecipare alle “spese”, non ha ancora tirato fuori il blocchetto degli assegni e non pare intenzionato a farlo. Ma, pare, che voglia prima parlare con Putin. Si, buona idea ma che aspetta? Mi sembra il minimo parlare con Putin e con chi vorrebbe parlare sennò? Col suo autista?

Putin lo sta aspettando al varco e si è già preparato due o tre discorsi alternativi ma uguali che, immagino, siano sulla linea del: caro Donald, vacci piano con le pretese perché io non mi faccio mettere i tuoi piedoni in testa e non fare il bischero con me perché non è aria… Si, lo so, magari non è proprio così, ma, credo, il presupposto sia chiaro. Insomma se Trump si vuole tenere buono il presidente russo, deve fare come vuole lui. E di pretese Putin ne ha a bizzeffe, bisogna vedere se Trump è abbastanza abile da fargliele calare. Ma ne dubito.

Insomma, se Trump vuole fermare la guerra o le guerre e fare veramente il pacifondaio che dichiara di essere da mesi, dovrà abbassare un po’ le proprie di pretese, fare un po’ l’amoroso, portare qualche chilo di zucchero o sciroppo di acero con sé per addolcire la pillola al caro Vlady. Ma, francamente, non lo vedo Putin disposto a mangiarsi gli zuccherini di Trump.

Mi sa che le nubi all’orizzonte invece che diradare si addensano.

Ovviamente io spero di no anche a costo di dover dire: Bravo presidente rascal!

E allora? C’è ben altro…

Vige da tempo diffusamente un atteggiamento piuttosto fastidioso, almeno io lo trovo tale, in inglese si chiama “whataboutism” che corrisponde al nostro: “e allora”? Lo riscontro molto di più da quando leggo i commenti dei blog, compreso questo. Esce spesso questa dinamica: uno parla di un tema e l’altro lo ignora, fa finta di non aver letto e rilancia un altro tema che sarebbe come dire. e questo? cioè e allora questo? A me francamente risulta molto antipatico questo modo di discutere: contrapporre sempre un altro tema a quello in discussione. Servono esempi? non credo. Qui ce ne sono a bizzeffe. C’è chi, tra chi commenta, quello che se ne serve a josa, non parlo di tutti, ovvio, come sempre non mi piace generalizzare, ma chi più, chi meno, spesso mi pone una domanda in contrasto con la mia e però alla mia non risponde.

Anche questo trovo che complichi qualsiasi forma di dialogo. I dialoghi a distanza, come quelli sui blog, sono falsati dalla impossibilità di leggere il linguaggio del corpo. Sappiamo bene tutti che ci esprimiamo anche coi gesti, con le espressioni degli occhi, coi movimenti delle mani. Ebbene questo, nei blog viene meno ed è ovviamente un limite. L’interlocutore è nascosto dietro lo schermo, partecipa ma solo attraverso la parola scritta e questa a volte può non tramettere a pieno quello che uno intende dire. Ma essere solo una parte e neppure la più significativa di ciò che si vuole esprimere. Il fenomeno dell’ “allorismo” è molto presente soprattutto nei dialoghi sui social.

Tende a tagliare a fette le discussioni e a scoraggiare qualsiasi argomentazione. Non apre, non visualizza altre prospettive, ma mette all’angolo l’interlocutore che si trova spiazzato e deve per forza deviare dal tema iniziale. E’ frustrante e decisamente poco producente. Non da la possibilità di arrivare a comprendere le questioni in ordine ai temi sollevati, ma li derubrica a bagatelle poco importanti e sottomesse spesso ad un altro fenomeno altrettanto fastidioso: il benaltrismo.

Anche in questo caso, il tema principale viene tacitato, ridimensionato o addirittura messo all’angolo dalla benaltrità elevata a qualità superiore di altri temi, sempre più pregnanti e decisamente più importanti in una scala di valori immaginaria e il più delle volte strumentale.

Facciamo l’esempio più attuale: qualcuno afferma:” i palestinesi sono le vittime” e un altro: “e allora Hamas”? E guardando le tante immagini che arrivano delle devastazioni prodotte dalla guerra tra Hamas e Israele si rimane inorriditi ed è difficile non cadere nella trappola dell’whataboutism.

Lo psicologo statunitense J. Lifton diceva che “il compito è quello di visitare con la mente gli scenari della catastrofe e di rinunciare ad ogni struttura difensiva, a tutte le identità comode, ai risultati ottenuti, ai piani per il futuro. Fissiamo l’attenzione su ciò che resta perché soltanto su ciò si può veramente contare per la crescita”. Una metafora che serve agli psicologi per aiutare i pazienti con gravi traumi ad uscirne. Ma posto sul piano della discussione, può essere inteso come un mezzo per uscire dai benaltrismi o whataboutismi, per arrivare a dialogare veramente di quello che potrebbe essere utile al progredire ” sano” di ogni discussione e ad una ricerca di “soluzioni”.

Senza la pretesa di trovarle, ovvio, nessuno di noi ha la Verità, ma evitando contrapposizioni derivanti da questi due fastidiosi fenomeni, forse, potremmo discutere con maggiore obiettività e ampliare le discussioni ad uno spettro molto più ampio e decisamente più costruttivo e forse anche più interessante e stimolante.

O no?

Pazzo puzzle

Mentre il marito, ingombrante come sempre, tentava di baciarla sulla guancia, nel salone gremito, durante la festa del giuramento, lei gioiva per l’imbarazzo di lui, sotto quella tesa dura e la sua guancia inarrivabile fremeva. Vestita come una militante dell’esercito della Salvezza, con due Bibbie in mano e la faccia seminascosta da un cappello a tesa larga e rigida. Compunta, inamidata e completamente avulsa dal contesto, chiusa dentro la sua impenetrabile fortezza, la nuova o ex vecchia, First Lady americana pensava a sua madre.

Alla miseria del suo paese e alla sua fortuna e anche alla sua tenacia. Stare accanto a questo personaggio, seguirlo nelle sue pazzie e nelle sue paranoie, presenziare i suoi eventi, stare all’ombra di questo mastodonte narcisista, maschilista e misogino dichiarato, non deve essere stato facile. E non lo sarà in futuro.

Ma lei, algida e corazzata da anni di perseverante lontananza da tutto, con quel sorriso a tre quarti e quella postura rigida, non si lamenta, anzi, mostra al mondo la sua presenza-assenza e falsa apparenza, come se fosse veramente lì.

E l’unica testimonianza della verità della sua esistenza è quel figlio che le sta accanto, che si guarda attorno smarrito con l’aria di chi vorrebbe sprofondare, troppo simile a quel padre per ritenersi diverso da lui e troppo diverso da lui per ritenersi fratello dei suoi fratelli, distanti anni luce da quella figura di giovane uomo sperduto e con una evidente trattenuta smania di libertà.

Melania e Bannon sono li, ma sono due figure scomponibili da quel pazzo puzzle, due esseri avulsi da quella irrealtà e decisamente fuori posto. Non fanno pena, certo, ma suscitano una certa tristezza e malinconia soffusa a guardarli. Come se rappresentassero appieno la falsità di quel cerimoniale e l’ipocrisia che invade la sala. E fossero due predestinati di gran lusso, incuranti del proprio destino e appartenenti ad un altrove che non raggiungeranno mai.

Attenti all’uomo

Ieri pomeriggio, vicino Milano, un veterinario molto noto nella zona, ha perso la vita. Come? Sbranato dai suoi cani. In giardino dove teneva 12 Alani, lo hanno ritrovato i familiari ma era già morto a causa delle ferite alla testa e al braccio.

Morto così, ucciso da quegli animali che tanto amava e che lo hanno sbranato senza pietà. Non hanno pietà i cani. Hanno molte qualità ma non ragionano. Non gli è importato nulla che quello fosse “il padrone” affettuoso che li teneva come figli, no, nulla e a nulla sono servite le cure dei sanitari, le ferite erano mortali, segno che gli animali non hanno voluto scherzare ma uccidere.

Capita sempre più spesso. Mi è venuto in mente un medico, un pediatra che conoscevo bene per essere stato medico di famiglia il quale amava tantissimo i cani. Un giorno ho letto la terribile notizia: era in fin di vita sbranato dal suo pastore tedesco del quale raccontava meraviglie Ora non ricordo se si sia salvato, è successo molti anni fa, prima che la moda di tenere cani di grossa taglia imperversasse così tanto.

Lo so, ne abbiamo parlato tanto sul blog, ed oggi c’è l’insediamento del pregiudicato in chief, ma questa notizia mi sembrava rilevante rispetto al giorno dell’Apocalisse. Ieri Trump ha ballato coi Village people alla cerimonia del giuramento: ridicolo e ridicoli loro. Ma significativo ridicolo machismo.

Ma questo povero veterinario ucciso dai suoi amati cani mi colpisce di più. Ma forse un’analogia alla lontana potrebbe persino esserci: Trump assomiglia ad un vecchio Pittbull, uno che ci stiamo rimettendo in casa dopo che aveva già mostrato segni di aggressività e però ora si è rifatto una coscienza limpida e potrà ancora far credere di essere “buono”.

Anzi buonissimo, già mangiato, intelligente, comprensivo e “amico dell’uomo” anzi “migliore amico” (ma non dei “ladri” immigrati clandestini e forse qualcuno anche regolare…). E come tutti i bravi Pittbull, amico soprattutto dei dittatori, degli uomini “forti”, quelli che mostrano i denti ma tengono l’ordine in casa e i “ladri” fuori.

Attenti al cane Donald, potrebbe farci fare una brutta fine (anche se in senso traslato), quella che ha fatto il povero Donati, ucciso dai suoi migliori amici nel giardino di casa. Lui li amava, loro no. E’ chiaro e appena hanno avuto il destro lo hanno sbranato. Lo hanno visto come il nemico da abbattere e la loro natura feroce ha seguito l’impulso animale.

Quello che non ha nulla di umano. L’ impulso “animale” dell’ex nuovo presidente americano potrebbe rivelarsi persino più feroce e costituire un pericolo per il mondo intero.

Troppo pessimista? troppo cattiva? forse. Ma io avrei consigliato prudenza al povero Donati e se mi avesse ascoltato, forse, sarebbe ancora vivo.

Non lo so

Quante volte ho pensato

questo giorno è il mio

è il mio tempo, finalmente

e potrò essere?

Quante volte ho pensato

questo attimo è il mio

e niente e nessuno

potrà rubarmelo?

Quante volte ho pensato

questo volto è il mio

e non potrà mai essere

diverso.

Eppure ora oggi qui il giorno

mi sembra quello di ieri e invece

non è che il sempre, il tutto

e il mai.

E non mi ricordo se l’ho

visto riflesso nello specchio

o solo in sogno o forse neppure

mai sognato.

E non lo so.

E’ saggio dubitar?

Mi sorge un grosso dubbio

sarà che son nel giusto

oppure il giusto è il dubbio

è saggio dubitar?

Però mi sono detta

cosi sarà per tutti

si chiedon se son giusti

o se le sparan grosse

oppur se stanno zitti

nel dubbio a non parlar

fanno meglior figura

di stare a cavillar?

Domanda inver oziosa

ma forse mica troppo

se poi le mie opinioni

si scontrano al galoppo

con altre inver contrarie

cos’è che ho da pensare?

Nel dubbio taccio o parlo?

E se parlo che dico? Dico

come la penso o penso

come la dico?

C’è, so, chi così fa

pensa come la dice

ci pensa e ci ripensa

e poi nel dubbio tace

oppure parla e conferma

che il dubbio sia fallace.

Chi crede in qualche cosa

lo dice oppur lo tace?

Se ha dubbi deve osare

oppur meglio tacere?

Per non sbagliar io parlo

e taccio all’occasione

ma mai sarò sì saggia

da farne confessione.

Daniela va a giudizio

La ministra del Turismo Daniela Santanché è rinviata a giudizio, Avrebbe falsificato i bilanci della sua impresa “Visibilia” e per questo dovrà comparire davanti a giudici milanesi a Marzo.

La ministra si dice “serena e di animo tranquillo” e però se Giorgia le dirà di dimettersi lo farà. Ma Giorgia, cioè la premier Meloni non lo fa. E lei resta la. Questione di lana caprina, dicono i suoi avvocati, si chiarirà tutto in sede giudiziale.

Tuonano invece le opposizioni…,beh proprio un tuono non pare, diciamo un mormorio, un cicaleccio, un ronzio, che dice alla ministra: fai le valige. Daniela di valige ne ha una serie firmata di gran classe, ma per ora non intende usarle se non per andare a fare qualche week end a Cortina o a Chamonix. Per dare le dimissioni come per pagare e morire, c’è sempre tempo.

Già visto e già letto: opposizione fremente col labbro indignato e maggioranza coesa che fa quadrato. Che noia che barba direbbe la grandissima e indimenticata Sandra Mondaini (quanto ci manchi).

Ci faranno delle macchiette i nostri comici più in vista, primo senza subbio il Crozza nazionale che ha già pronta la “maschera” tipo Mrs Doubtfire, da indossare nel suo prossimo show…o lo ha già fatto? Bah, io non lo so. Ma, dopotutto siamo o non siamo tutti garantisti? Abbiamo o non abbiamo ( si fa dire) il presidente Usa pregiudicato? E allora…come diceva quella tale finita in galera per truffa e che scontata la pena se ne sta a godersi il sole delle Maldive (?). Veramente non so se sia proprio così ma non fateci caso, è sabato avrò o no anch’io il diritto ad un minimo di “sana” disinformazione temporanea da week end? E poi, francamente, diciamolo, non ce ne potrebbe…

Insomma Daniela Garnero, attuale ministra del Turismo per ora fa non schioda.

Piuttosto perché non si fa chiamare col suo nome invece che quello di un ex marito del quale non si ricorda neppure i connotati?

Salvate il soldato Luca

Pare che Giorgia Meloni sia preoccupata per la decisione di Luca Zaia di non schiodare dalla Presidenza del Veneto. Si sta per compiere il terzo mandato ma Luca di andarsene non ci pensa proprio. Lui, il più amato tra i governatori di Regione italiani o tra i più amati, non ci sta a lasciare la poltrona di Palazzo Balbi. Ci sta seduto comodo dal 2010, ci è affezionato. E poi ha solo 56 anni e di fare altro non se la sente è anche affezionato al ruolo, ai veneti, alle sue colline, al prosecco e quindi vuole restare li abbarbicato li. Ma Giorgia non ci sta e dice a Matteo: “se ne deve d’annà, convincilo tu con le buone o con le cattive, se ne deve d’annà sinnò lo devo fare io.

Ma non è cosa semplice da farsi, né Matteo ha voglia di affrontare un tipo tosto come Luca. Uno capatosta come tutti i veneti e pronto a dare battaglia e ad arroccarsi sulle colline, magari in qualche fortino perso tra i vigneti e a buttare olio bollente in testa a chi vuole stanarlo.

Insomma, Luca non ci sta. O meglio ci sta a restare. Non gli va di tornare a occuparsi dei vigneti e neppure di assumersi altre responsabilità nel partito, lui è un moderato uno sui generis, la Lega è si casa sua ma con riserva. Lui è un aristocratico collinare e non si mescola con i padani legaioli un po’ buzzurri.

E poi ha una dignità da difendere il dottor Luca Zaia, quello che durante il Covid faceva fare tamponi anche alle galline dei suoi allevamenti. Sempre presente, ogni mattina era li, in diretta a informare i corregionali delle evoluzioni del virus. E ci è rimasto fino all’ultimo, fino a quando non lo hanno convinto che il virus era debellato e che poteva rilassarsi. Lui, come un soldato era sempre in trincea da mane a quasi sera e ora quella poltrona gli è cara, c’è l’impronta indelebile del suo esimio signor sedere e non permetterà a nessuno di cambiargli i connotati.

Giorgia mi sa che non hai idea ancora bene di quello che ti aspetta.