Mentre il marito, ingombrante come sempre, tentava di baciarla sulla guancia, nel salone gremito, durante la festa del giuramento, lei gioiva per l’imbarazzo di lui, sotto quella tesa dura e la sua guancia inarrivabile fremeva. Vestita come una militante dell’esercito della Salvezza, con due Bibbie in mano e la faccia seminascosta da un cappello a tesa larga e rigida. Compunta, inamidata e completamente avulsa dal contesto, chiusa dentro la sua impenetrabile fortezza, la nuova o ex vecchia, First Lady americana pensava a sua madre.
Alla miseria del suo paese e alla sua fortuna e anche alla sua tenacia. Stare accanto a questo personaggio, seguirlo nelle sue pazzie e nelle sue paranoie, presenziare i suoi eventi, stare all’ombra di questo mastodonte narcisista, maschilista e misogino dichiarato, non deve essere stato facile. E non lo sarà in futuro.
Ma lei, algida e corazzata da anni di perseverante lontananza da tutto, con quel sorriso a tre quarti e quella postura rigida, non si lamenta, anzi, mostra al mondo la sua presenza-assenza e falsa apparenza, come se fosse veramente lì.
E l’unica testimonianza della verità della sua esistenza è quel figlio che le sta accanto, che si guarda attorno smarrito con l’aria di chi vorrebbe sprofondare, troppo simile a quel padre per ritenersi diverso da lui e troppo diverso da lui per ritenersi fratello dei suoi fratelli, distanti anni luce da quella figura di giovane uomo sperduto e con una evidente trattenuta smania di libertà.
Melania e Bannon sono li, ma sono due figure scomponibili da quel pazzo puzzle, due esseri avulsi da quella irrealtà e decisamente fuori posto. Non fanno pena, certo, ma suscitano una certa tristezza e malinconia soffusa a guardarli. Come se rappresentassero appieno la falsità di quel cerimoniale e l’ipocrisia che invade la sala. E fossero due predestinati di gran lusso, incuranti del proprio destino e appartenenti ad un altrove che non raggiungeranno mai.