Sono grata agli alberi
alla loro luce morbida
attorno all’onda del riflesso
del giallo del rosso
del marrone.
Tinte le foglie non più verdi
Assorbono i colori
dalla fonte primaria di luce.
E affondo gli occhi
nel riverbero del cielo.
Mentre l’azzurro si piega dolce
verso la cima degli abeti.
E l’avvolge con amore
in un abbraccio che sa di cose
ancora da scoprire.
O di cose che so che ricordo
che rivedo che mi parlano mute
mentre alzo la testa
e chiudo gli occhi.
E respiro il profondo azzurro.
E fondo l’anima con le rughe
del tronco che si affaccia
da un angolo e mi guarda
e mi chiama come tante volte
Io l’ho chiamato.
“Sono qui per te” sembra dirmi
come sempre sulla curva del viale
dritto impassibile ed eterno
compagno e amico.
La chioma va oltre la vista sopra
le altre chiome, sopra di tutto.
E mentre mi appoggio sento la linfa
scorrere come sangue che
si mischia a quel verde che
fugge e si ritrae accecato.
R
si, è proprio quello che intendevo, grazie.
A proposito di alberi, vite silenziose immobili, da cui l’uomo trae beneficio, conforto e compagnia, o addirittura corpo in cui trasfondere la propria anima, come immagina l’autrice, ecco una poesia di Giudo Gozzano che nel lento morire di un albero abbattuto forse preconizza la sua morte prematura a causa del male che l’aveva colpito
Speranza
Il gigantesco rovere abbattuto
l’intero inverno giacque sulla zolla,
mostrando in cerchi, nelle sue midolla
i centonovant’anni che ha vissuto.
Ma poi che Primavera ogni corolla
dischiuse con le mani di velluto,
dai monchi nodi qua e là rampolla
e sogna ancora d’ essere fronzuto.
Rampolla e sogna – immemore di scuri –
l’eterna volta cerula e serena
e gli ospiti canori e i frutti e l’ire
aquilonari e i secoli futuri…
Non so perché mi faccia tanta pena
quel moribondo che non vuole morire!
(Guido Gozzano)
R
Grazie per questa belle poesia.