Sostiene Kamala che l’America ha l’opportunità di mandare a casa un dittatore, un “petty Tyrant”, uno che pensa a se stesso e a fomentare odio contro gli immigrati e a punire “the enemies within”, cioè i suoi nemici politici ai quali ha già promesso che manderà l’esercito contro. Le due parti si contrappongono nel finale di partita, si contendono soprattutto i sette stati che determineranno la vittoria dell’uno o dell’altra. L’uno con parole di odio e di disprezzo verso tutti gli immigrati e verso chi non la pensa come lui e non è disposto a baciargli le suole delle scarpe. L’altra, definita nei modi peggiori, sessisti e razzisti, decisa a migliorare le condizioni di vita di tutti gli americani senza distinzione, favorire la libertà delle donne di scegliere se abortire e di riportare nel paese un clima disteso, democratico e solidale.
I due candidati alla Casa Bianca sono entrambi in un modo o nell’altro, decisivi non solo per il destino degli americani, ma del mondo. Donald Trump ha già detto che con lui le guerre in corso finiranno e questo potrebbe essere un ottimo auspicio. Ma come? Come intende lui, cioè con la vittoria di altri tiranni come lui e la fine delle speranze di libertà degli ucraini e certamente nessun valido aiuto per la tragica situazione dei palestinesi.
Mentre Kamala Harris non ha formalmente fatto troppe roboanti dichiarazioni in merito ai due conflitti principali che tengono il mondo col fiato sospeso, ma ha dimostrato solidarietà per chi soffre, sia un’ Ucraina che ha diritto – ha detto – alla propria sovranità, sia in Medio Oriente dove la situazione è esplosiva, tragica per i civili nella striscia di Gaza e ovunque Israele stia colpendo militarmente.
La decisione ora è nelle mani degli americani che andranno alle urne a breve e hanno una enorme responsabilità. Quella di consegnare le chiavi del potere ad un personaggio instabile, pregiudicato con sentenze in attesa, egoista e concentrato su di sé, vendicativo e pericoloso oppure ad una donna che ha davanti a sé un compito immenso e molto gravoso ma con una forte determinazione e una rara carica vitale tese a difendere i valori della libertà e della democrazia in un paese che è tragicamente diviso e con visioni diametralmente opposte.
Sperare che vinca il migliore è banale e inadeguato, sperare che vinca “la migliore” è, mai come adesso, fondamentale.
La delegazione di Viktor Orban, non ha ricevuto dai georgiani mazzi di fiori, ma parolacce indirizzate al leader ungherese e ai suoi ministri, sul viale dove si trova l’hotel che ospita gli ungheresi, a Tbilisi per congratularsi col governo appena rieletto, occupato da manifestanti inferociti. Il partito di maggioranza Sogno Georgiano è stato eletto ancora una volta e però l’opposizione guidata dalla presidente della Repubblica ha denunciato brogli e intimidazioni e anche violenze ai seggi. Ci sono riprese fotografiche a testimoniarlo.
Ma, insomma Orban non è stato osannato, pare ma sotto una salva di fischi e di parolacce che non ho capito ma assomigliavano molto alle nostre più comuni che non ripeto, Il presidente ungherese amico di Putin, ha tenuto i finestrini dell’auto blu sprangati e tirato dritto: se ne fa il baffo e non parrebbe intimidito, anzi. E’ uno che se ne infischia delle convenzioni e che va dove lo porta il cuore, la UE prenda nota e abbozzi.
Ma perché i georgiani avrebbero dovuto votare ancora un governo che sta li da 12 anni e che è legato a doppio filo ai russi e che pare scontentare tutti? Le opposizioni filoeuropeiste protestano vivamente e hanno organizzato manifestazioni di piazza che si sono svolte anche oggi, molto partecipate. La tendenza sembrava quella di votare per un governo filoeuropeista ma Putin non vuole, Orban nemmeno…come faremo a fare l’amor…con l’Occidente? Dicono da quelle parti.
Molti si ricordano la guerra del 2008 quando Putin ha invaso la Georgia con la stessa scusa usata per invadere l’Ucraina: liberare due regioni separatiste: l’Abcasia e l’Ossezia del Sud. Un conflitto sanguinoso durato pochi giorni e finito pare con l’intercessione della Francia e un compromesso. Ora le due regioni sono autonome ma non riconosciute internazionalmente.
Queste elezioni sono state la solita farsa in salsa post sovietica col fiato del presidente russo sul collo. Ora aspettiamo Trump (spero di no) e l’Ucraina può davvero (se tutto va male) lasciare ogni speranza.
La strada per la libertà e la vera indipendenza è lunga e irta di ostacoli ( uno grosso e russo) da quelle parti.
Qui si parla molto di politica e forse anche troppo. Ho pensato che si potrebbe anche cambiare tema e per una volta parlare di cibo. Qualche giorno fa abbiamo parlato di focaccia con le cipolle, specialità genovese e di totani fritti altra specialità credo abbastanza diffusa su tutto lo stivale. Ma c’è una pietanza particolare o comunque qualcosa che mangiamo più volentieri e che magari ci ricorda l’infanzia, o la prima giovinezza? Ricordo che da ragazzina tornavo da scuola con i crampi allo stomaco e spesso rimanevo piegata in due tanto mi doleva. Siccome sono sempre stata alta anche da bambina, cioè, crescevo in fretta e mi allungavo a vista d’occhio, il nostro medico diceva che era normale e che avevo bisogno di mangiare spesso. Ma io saltavo la colazione perché ero sempre in ritardo e arrivavo all’ora di pranzo e oltre con lo stomaco che brontolava e solo dopo che avevo mangiato svaniva il dolore, Mi capita anche se raramente anche adesso, se, per esempio ho mangiato poco e camminato più del solito e allora devo cercare di riempirlo velocemente perché altrimenti il dolore aumenta. Mi preparo velocemente un petto di pollo con le verdure. Sono tendenzialmente vegana ma mangio uova e carni bianche. A meno che non stia male, mangio piuttosto velocemente, forse troppo, perché mi è rimasta l’abitudine e il riflesso di quei tremendi mali di stomaco che avevo da ragazza e che passavano solo dopo averlo riempito. Insomma non ho mai slimegato, come si dice qui, che equivale a dire, mangiare con lentezza e rigirare il cibo nel piatto. No, anzi, quasi mai ho avuto problemi col cibo. Da bambina mia madre mi diceva spesso che non dovevo mai dimenticare che c’erano molti bambini che non avevano nulla da mangiare (soprattutto quando facevo storie per mangiare la minestra di verdure) e per questo lasciavo sempre qualcosa nel piatto ed è una che cosa che faccio ancora di tanto in tanto. Inconsciamente credevo di lasciare qualcosa per loro e tacitavo i sensi di colpa.
I miei piatti preferiti da bambina erano molto semplici. Amavo molto il riso e latte che mi preparava mio nonno e anche le uova strapazzate, sempre preparate da lui che aveva un tocco particolare e le faceva buonissime o a me sembravano tali perché le mangiavamo insieme. Ero molto piccola. Ricordo questo uomo alto, bellissimo coi capelli brizzolati che mescolava nel pentolino il latte col riso, poi spegneva ci aggiungeva il burro e il parmigiano e lo scolava nei piatti caldissimo e pretendeva che lo mangiassi subito perché altrimenti, diceva, non era la stessa cosa se si freddava e dovevo finirlo prima che diventasse freddo. E poi le mele, il mio frutto preferito. Di quelle ho molti ricordi perché me le andavo a cogliere direttamente sugli alberi e me le mangiavo sul posto anche se erano ancora verdi. Ricordo il sapore aspro ma delizioso e soprattutto la soddisfazione di averle raccolte da sola senza l’aiuto dei grandi. Anche se mi era proibito arrampicarmi sugli alberi, io lo facevo lo stesso e non sempre di nascosto e mia nonna mi urlava di scendere che mi potevo rompere l’osso del collo. Ma io ridevo. O almeno così mi dicevano: ridevo e mi divertivo molto. Nel giardino dei nonni c’era un bellissimo ciliegio, un amico prezioso, ci parlavo e lui mi rispondeva (davvero, mica scherzi, ed era anche molto conversativo, ho anche scritto un racconto su di lui) e quando era pieno di frutti mio nonno metteva la scala a pioli sul tronco e li raccoglieva dentro una cesta e poi me li metteva sulle orecchie come orecchini ed io correvo in casa a guardarmi allo specchio del comò e poi me le mangiavo. Anche la mamma, quando ne aveva voglia, cucinava bene e ricordo soprattutto il pesce che faceva spesso; le sarde in saor, piatto tipico veneziano o le moeche (una specie di granchi) fritte o i canestrelli e soprattutto le sogliole e le seppie in umido.
Ma niente ha mai eguagliato il sapore dei piatti che mi preparava il nonno e quella magia che si sviluppava attorno a noi mentre lui si affaccendava ai fornelli. E credo che sia proprio per questo che non amo i cibi elaborati, ma molto semplici: devo vedere cosa mangio, non amo i “pasticci” o i piatti elaborati. E non sono una brava cuoca, per nulla e detesto tutte quelle manfrine attorno ai programmi con chef stellati o senza stelle. Però mi piace vedere la gente mangiare nei film. Si, strano ma vero, mi piacciono le scene dei film dove la gente mangia, sta a tavola, va al ristorante. C’è una vecchia serie TV che ho ritrovato su youtube sul Commissario Maigret con un Gino Cervi impagabile (ma tutti gli attori sono da oscar), dove lui mangia spesso e pure volentieri e fa sul serio, non per finta. Non so perché ma vederlo mangiare con tanta plateale soddisfazione mi mette allegria. Forse perché il cibo significa molte cose, oltre a saziare riunisce le famiglie, le persone, gli amici e può essere una forma di gratificazione molto importante. E oltre a mantenerci in vita ci fornisce spunti di discussione, materia di studio e riflessione e può far nascere amicizie o anche amori.
Come in Miseria e nobiltà dove il cibo è il vero protagonista del celeberrimo film con Totò e Sofia Loren. Il cibo è il leit motiv di tutta la trama che si dipana intorno alla storia di un pretendente alla mano di una bellissima ballerina e alla fine riesce a sposarla con l’aiuto di quattro disperati “morti di fame” che si fingono suoi parenti nobili. Celeberrimo e molto divertente, esilarante nella famosa scena del “cappotto di Napoleone”, dove Totò e Pasquale, i protagonisti poveri in canna che coabitano fra mille difficoltà, fanno la lista della spesa di cose mangerecce che dovrebbero acquistare impegnando un vecchio cappotto. Infine il cibo riesce a favorire l’unione di più coppie che si formano o riformano quasi per magia, proprio intorno al vero protagonista di tutta la pochade.
Beh, ora mi pare si sia fatta una certa, vado a vedere se lo sformato di verdure è pronto, non vorrei averlo bruciato. Mi succede qualche volta perché nella foga di scrivere mi dimentico di accendere la sveglia del forno e tutto se ne va in fumo…
Il Wall street Journal ha diffuso la notizia che Elon Musk sarebbe in contatto con Putin da due anni e assieme al presidente russo, discuterebbe di tutto anche della guerra in Ucraina.
Ora Musk è impegnato ad aiutare Trump a vincere e per fare questo sta spendendo cifre colossali. Pare voglia entrare al governo se Trump vince e questo rappresenterebbe un problema considerati i suoi rapporti commerciali con il governo Usa e le sue piattaforme che fanno girare di tutto compresa molta disinformazione.
Un uomo decisamente potente dunque che fa coppia con uno altrettanto potente, prepotente e pericoloso (ed immunizzato) per avere ancora più potere. Ma se parla con Putin, dirà qualcuno, lo fa per aiutare il processo di pace. Infatti, come Trump, vuole aiutare soprattutto Putin a prendersi quello che gli ucraini non vogliono mollare. Ma chi sono gli ucraini? che diritti tengono? non potrebbero farla finita e chiudere questa guerra arrendendosi al più forte e affidandosi al despota russo? Insistere a non voler tornare sotto lo stivale del russo è pura follia, perdita di tempo, vite umane e denaro. Molto denaro.
Insomma Elon si spende per la pace e per entrare dentro l’amministrazione americana e farne il suo biglietto da visita per altri mondi inesplorati che intende colonizzare. E se Putin si accoda tanto meglio, altri affari da concludere e soldi da far girare.
E Guterres che bacia l’anello allo zar potrebbe essere il primo segnale del nuovo disordine mondiale. Il segretario dell’Onu che quasi abbraccia quel tipo, fa venire un po’ di giramento di testa. Va bene la diplomazia ma piegarsi ai potenti è indice di debolezza e di servilismo. E il servilismo ha sempre portato molta più guerra che pace.
Tra i tanti problemi che abbiamo noi italiani, comprese le guerre che ci girano intorno e ci lambiscono e per le quali sembra non esserci soluzione possibile, almeno fino all’arrivo alla Casa Bianca del Salvatore salvato da tre attentati alla sua vita, ne abbiamo uno piccolo piccolo, ma non insignificante: la guerra tra due ex amici: Giuseppe Conte e Beppe Grillo.
Forse “amici” è una parola grossa, l’amicizia è una cosa seria e di serio questi due hanno veramente poco, sia presi singolarmente che in coppia. Ma coppia sono stati fin che è durata la sbornia collettiva che ha portato al governo uno degli errori politici (uno dei tanti) che gli italiani ogni spesso fanno, presi dall’incalzare degli eventi e inebriati e obnubilati dalle deliranti filippiche di un ex comico, ora una tragedia umana vivente. Ma chi ha tradito chi? Sembrerebbe che entrambi siano due traditori col pedigree, due “cani” di razza che ringhiano l’uno contro l’altro e la “zuffa” è appena iniziata.
Quel che rimane del manipolo sparuto di pentastellati determinati a tenersi caldi i privilegi acquisiti, guidati dal condottiero ridicolo ex premier e avvocato dei suoi stessi stivali è conteso tra quest’ultimo (davvero ultimo) e il famoso ligure detto anche l’Elevato. Ma de che? dice Conte. E…levati, gli dice, che mi fai ombra. E poi mi costi. E perciò ti lascio a secco, basta soldi, chiusi i contratti, non si può pagare uno che ti rema contro.
Insomma: botte da vedenti e parlanti e arroganti primi e davvero ultimi uomini di una commedia tutta italiana della quale possiamo andare poco fieri. Uno è il fondatore, l’altro l’affondatore di un movimento che ha movimentato la scena politica fino all’epilogo farsesco al quale assistiamo spettatori attoniti, ma non troppo. Abbiamo sempre altri problemi e, francamente, non ce ne potrebbe importare di meno di questi due che si accapigliano per quello che resta di qualcosa di temerario e rivoluzionario, a parole, rivelatosi ben presto una grossa bufala ora strattonata da questi due bisunti che si scornano per quattro briciole.
Un sentimento prevale a vedere questa scena (almeno in me): sconforto e pena. Ma non per loro, ma per noi che siamo chiamati ogni qualvolta a decidere a chi consegnare il potere e decidere tra chi ci prende per i fondelli e chi ci prende…tutto il resto.
Una lettera d’amore non si può dire che sia, la lettera che il giudice Marco Patarnello manda ai colleghi e parlando della Premier afferma che è più pericolosa di Berlusconi e che si devono guardare il sedere perché questa, raga, fa sul serio…
Insomma più o meno. La faccenda ha fatto due volte il giro del mondo ed è rimbalzata sulla scrivania di tutte le redazioni ed è nato un Degheio, come si dice da queste parti a Nordest.
Cioè, una” casa di tolleranza” per dirla in termini più comprensibili. Ma… e perché? Che c’è di strano? Berlusconi era un gran figlio di mamma Rosa, lo sappiamo, e lei la Premier Giorgia che cosa avrebbe in comune con lo scomparso ex premier? Poco o nulla, direi. Basta guardarla per capirlo. Ma un perché c’è, di certo il magistrato lo ha, lo deve avere.
Ma, avesse scritto: Signora, vengo con questa mia addirle una parola…oppure, Cara Savomelona, anzi, santissima Savomelona… e poi avesse parlato chiaramente delle sue perplessità, le avesse chiesto un incontro chiarificatore, un caffè al bar o persino una cena fredda, beh , tutto questo scontro istituzionale non ci sarebbe. Ma possibile che non ci si possa parlare tra poteri dello Stato? In fondo lei è una donna ed è pure comprensiva, ma si, non dico che avrebbe accettato la Corte del giudice Patarnello (non è il suo tipo, ne sono quasi certa) ma forse avrebbe potuto rassicurarlo che so, che non avrebbe cospirato contro di lui e che non gli avrebbe bucato le gomme della macchina.
Ma poi, in fondo sembra davvero una tempesta in un bicchiere di sabbia. Ne sentiremo parlare a lungo mi sa. Ma Meloni può andare fiera, ha finalmente ottenuto l’investitura a premier dopo due anni. Ora si che può governare: “più pericolosa di Berlusconi” è un complimento involontario, ma sempre un complimento è. E la donna Meloni è ormai autorizzata a sentirsi “il premier” a tutti gli effetti.
Manca poco…a che? Alla fine del mondo? no, almeno spero. manca poco alla resa dei conti tra i due candidati alla Casa Bianca. Uno è il solito individuo losco, spergiuro e bugiardo, con cause pendenti e condanne. Un pregiudicato assaltatore di donne, misogino e maschilista. L’altra è una donna di (quasi) colore, asiatica, per bene, carina e simpatica, molto gioiosa e molto preparata. Ma non basta: è una donna. E questo può fare la differenza. Beh, certo, sempre le donne fanno la differenza. Differente rispetto a quel cetriolo, a quell’Orango vestito, lo è di certo. Ma non basta, E’ una donna. E gli elettori americani, quelli misogini e maschilisti, dovrebbero votare una donna per quanto brava, simpatica e preparata? ma in che film? Ma il fisico di ruolo ce l’ha? si chiedono i maschilisti. Una donna non è un uomo, un uomo come Trump, poi, non scherziamo. E questo potrebbe costarle la vittoria. Eh si, nonostante lo scoppiettante esordio, ora, Harris è là là, ma non supera di tanto il cetriolo. Forse c’è bisogno che sfoderi maggiore grinta, che dica chiaro e tondo che quello non ci sta con la testa, che perde il filo dei discorsi, che balla come uno scimmione e che con lui gli americani sono a rischio di perdere la libertà e la democrazia finirebbe sotto i tacchi di quel dirty dancer. E il mondo intero sarebbe a rischio. Forza Harris, metticela tutta ma proprio tutta e convinci le donne americane che quel tipo è pericoloso e se non votano te l’America finisce di essere un paese democratico per diventare un incubo per l’umanità.
La giudice che ha emesso la sentenza sui CPR in Albania si chiama Silvia Albano ( per poco non si chiamava Albanese). E’ stata subito presa di mira da FdI per la sua dichiarata appartenenza “politica” essendo presidente di Magistratura Democratica e per la sua aperta opposizione al governo, ma, secondo me ha solo fatto il proprio dovere. Ha applicato la legge. Gli uomini portati in Albania nel nuovo CPR non possono rimanere li ma essere portati in Italia. Cosa che sta già avvenendo. Gli girerà un po’ la testa, poveracci. Mentre sono altre le cose che girano (scusate l’aulica metafora) in seno al governo (si fa per dire). Girano vorticosamente…le voci che Meloni sia infuriata.
Beh, io l’avrei vista in un video dove parlava dal Libano e il suo commento sulla sentenza è stato abbastanza lapidario, ma non mi sembrava infuriata. Va sempre su tutte le furie secondo i giornalisti che la sanno lunghissima. Certo è che le opposizioni si sono lanciate a criticarla parlando di Lager e di soldi sprecati e di Corte dei Conti. A proposito di Conti, Conte ha sparato mitragliate contro Meloni rea di essere una rovina paesi tra le peggiori. Mentre lui, giudice della commissione che dovrebbe giudicarlo, si è dimostrato un vero miracolo vivente e lo è, a mio parere, decisamente, ma di faccia tosta. Ovvio che lui e Schlein si avventurino a cavalcare in coppia questa che appare una sconfitta del governo. Entrambi sullo stesso scudiero, Elly davanti e Conte dietro, cavalcano spediti e speronati verso la meta: disarcionare la premier. Ci riusciranno? Può darsi, questa storia potrebbe farle venire molti mal di capo e costringerla a rinunciare ad un progetto ambizioso ma, forse non del tutto sbagliato.
L’immigrazione è il problema dei problemi, l’opposizione ha al proprio attivo dei disastri su tutta la linea e (non) soluzioni che non solo non hanno risolto ma di molto aggravato il problema. Ma non importa, l’importante è fare bella figura cavalcando la sostenibile pesantezza delle proprie responsabilità (negate) e aggravare ulteriormente il problema ostentando sicurezza che non ha, ma che millanta con più di una faccia scolpita nel marmo.
Ma una bella cavalcata aiuta a migliorare la postura della schiena e chi ha governato questo paese per oltre un decennio ha ben presente quanto ha dovuto faticare a tenerla dritta. Ora il governo prepara le contromosse e però se l’Albania si dimostrerà un fallimento, potrebbe essere un grosso problema per la tenuta della maggioranza.
Vedremo, ci siamo abituati a navigare in acque agitate, non ci verrà il mal di mare. Non certo di più che a quei disgraziati che ogni giorno lo attraversano per arrivare qui da noi mentre il problema della loro accoglienza sta diventando deflagrante per la tenuta della democrazia in Europa. E forse, non solo in Europa.
Abbiamo solo guerra dovunque ti giri, Israele sta sterminando Hamas e ha colpito a morte il loro capo, quel Sinwar ideatore dell’attentato del 7 ottobre. Ma, dicono, la guerra non è finita ancora e la morte a Gaza dei tanti civili, non viene considerata un prezzo troppo alto che i palestinesi devono pagare perché le armi si fermino e ritorni la pace. Pace che da quelle parti non c’è mai stata e forse mai ci sarà. La guerra continua nonostante tutti gli appelli per farla cessare. Al contrario, sembra che si protrarrà ancora per molto tempo se non interverrà qualcosa di nuovo che al momento non è alle viste. I moniti degli Usa a permettere di far arrivare a quella popolazione martoriata gli aiuti di cui hanno bisogno, sembrano essere stati recepiti, non la richiesta di cessate il fuoco che non trova, per ora, nessuna accoglienza.
Sul fronte ucraino i russi continuano ad avanzare anche se lentamente. Zelensky chiede ancora di poter usare i missili per colpire istallazioni militari in territorio russo e soprattutto chiede di poter entrare al più presto nella Nato. Teme che l’inverno alle porte possa portare la mazzata finale alle sue truppe ormai decimate e col morale a terra. E gli ucraini ora non hanno solo le bombe o i missili russi da cui doversi difendere ma anche un arma subdola e quasi invisibile: dei piccoli droni che l’esercito russo sta sparando contro qualsiasi cosa si muova, per ora pare solo a Kherson e i cittadini vengono colpiti all’improvviso da queste piccole cariche esplosive che si abbattono su di loro e che se non li uccidono li lasciano a terra sanguinanti e mutilati. Un orrore infinito che lascia sgomenti.
E da noi? Cosa succede da noi? Piove, ancora e sempre piove, almeno o di più al centro nord, i fiumi esondano e le previsioni dei catastrofisti delle conseguenze del surriscaldamento globale si stanno avverando e noi italiani, sembriamo essere tra i più minacciati da catastrofi naturali.
Direi che potrebbe bastare, almeno per oggi, chi mi ha letto fino a qui ha pensato che il mio umore sia sotto i tacchi e non avrebbe torto. Ma, in tutta questa tragedia diffusa c’è un filo di speranza che proviene da Francoforte. Si da Francoforte dove è in corso la Buchmesse, la Fiera del libro e vi partecipa il nuovo ministro della Cultura italiano, sorto miracolosamente dalle ceneri di Sangiuliano e che si offre anima e core al pubblico declamando un discorso che lascia tutti a bocca aperta: “Dobbiamo riaffermare la centralità del pensiero solare, il punto d’incontro tra la rigidità delle ideologie, della battaglia delle idee che si discioglie nella luce meridiana dello spirito mediterraneo”…ecco, Giuli ci mancava. Ma lo abbiamo trovato dentro qualche vecchia cantina, rispolverato e messo a ministrare li proprio dove il dente doleva assai. Il ridicolo ex ministro è stato sostituito con uno ancora più ridicolo di lui. Questo inarrivabile e pomposo personaggio che al suo secondo discorso pubblico si è fatto conoscere già e abbiamo capito che il “pensiero solare” ormai è la cifra dell’italianità, soprattutto ora che piove quasi ovunque e i fiumi esondano senza pietà, Giuli esalta la “luce meridiana dello spirito mediterraneo”. Non c’è da ridere, il “pensiero solare” è aulico, debordante di amor patrio e di sacro romano orgoglio…
Temo che una Boccia qualsiasi per questo bel tipo qui sia del tutto inutile. Forse solo una Eleonora Duse che gli appaia di notte ai piedi del letto e gli declami qualche ode del Vate con voce d’oltretomba, potrebbe affascinarlo tanto dal distoglierlo dai suoi doveri di ministro e forse, solo dopo che i cronisti lo avranno immortalato mentre parla da solo al ristorante, davanti ad una sedia vuota, Meloni deciderà che quel posto può rimanere vacante, almeno fino a che non le apparirà D’annunzio…nella luce meridiana dello spirito mediterraneo.. a palazzo Chigi e lei non deciderà che è finalmente la persona giusta per quel ruolo.
Sparano contro i caschi blu dell’Onu. L’esercito israeliano vuole che se ne vadano, che tolgano le tende e lascino libero quel tratto di Libano che “sorvegliano” da anni e li lascino lavorare. Pare che in questi anni le milizie di Hezbollah, acerrimi nemici di Israele, si siano create degli hotspot proprio li, dove ci sono i soldati della missione Unifil, i cosiddetti Peacekeeper. Ma se si spara contro i peacekeeper siamo veramente alla frutta. E’ come sparare alla Croce Rossa. Pare che siano rimasti feriti solo due soldati che stavano su una garitta, nulla di grave. Ma sembra un avvertimento. Ne ha tutta l’aria.
Italia, Francia, UK e Germania hanno protestato con il governo di Israele e hanno detto che non è proprio cosa. Siamo pazzi? Beh, ci siamo vicini alla follia. Meloni furiosa ha parlato con Maramiao e questo non si sa bene cosa abbia bofonchiato ma pare che abbia detto che è stato un errore di sbaglio strategicamente e tragicamente parlando. Non credo Meloni se la sia bevuta anche perché l’IDF, pare si sia avvicinato coi carri armati come in una scena di Jesus Christ Superstar.
Insomma niente va bene madama la marchesa, la risoluzione dell’Onu è risoluta a rimanere mentre Israele vuole che lasci. Ma dovunque si levano voci di protesta contro questa risoluta minaccia di Israele. Va bene tutto, va bene la difesa del proprio popolo, ma ora Maramiao sta uscendo di testa, avrebbe bisogno urgente di un TSO. Ma non ci sono, al momento, infermieri abbastanza robusti per attuarlo.