Successe quella domenica del 29 Aprile 1945.
Di solito la domenica faceva un giro in piazza con un’amica. Ma, quella volta, stranamente non si era presentata e Noemi stanca di aspettarla aveva deciso lo stesso di entrare nel bar principale della piazza, anche se da sola non c’era mai entrata. Aveva voglia di prendere un caffè e quel locale, il più rinomato del paese ne teneva di vero e non quelle miscele di orzo e cicoria, che erano meglio di niente ma non erano certo caffè. E poi aveva voglia di sedersi perché si sentiva strana. Era sensitiva e percepiva gli avvenimenti che stavano per accadere: una sensazione fisica che non sapeva spiegare e che la turbava.
Alla radio avevano dato la notizia che gli Alleati erano entrati a Venezia, c’era molto fermento in giro, si temevano rappresaglie. Si diceva, che da un momento all’altro si sarebbero potuti vedere passare i carri armati anche per le vie del paese.
Insomma, Noemi era sola e sentiva un’ansia crescente e da quel tavolino un po’ nascosto dietro la colonna, mentre sorseggiava il caffè che la barista le aveva portato con un largo sorriso, buttava spesso lo sguardo fuori dalla vetrina per controllare quello che succedeva e già le sembrava di scorgere degli strani movimenti.
Sentì delle raffiche di mitra che la fecero trasalire. Si affacciò alla porta e vide dalla parte opposta della piazza dove c’era un negozio di frutta e verdura, delle sagome immobili a terra. Rientrò in fretta e furia sentendosi gelare il sangue.
Nel bar non c’era stranamente quasi nessuno, solo tre uomini che chiacchieravano fitto tra loro seduti ad un tavolo: contadini che contrattavano qualche lotto di bestiame, troppo presi dai loro affari per accorgersi che di li a poco sarebbe scoppiato il finimondo.
Intanto sotto i portici che contornavano la piazza, si stava radunando una massa di persone che cresceva di minuto in minuto. Un gruppo sempre più numeroso da cui si levava a tratti un vociare frenetico, dei battimani, delle urla incomprensibili che la facevano agitare sempre di più. Si affacciò alla finestrella che dava sulla piazza e vide un gruppetto di uomini, tutti con un fazzoletto rosso intorno al collo che imbracciavano il mitra. Correvano verso un punto preciso; Noemi li riconobbe: erano partigiani e si dirigevano verso l’entrata sud della piazza gridando:” Arrivano, arrivano, eccoli, eccoli , sono qua…”
Le loro voci furono d’un tratto sovrastate da uno sferragliare tremendo che si avvicinava sempre di più diventando assordante.
Chiuse gli occhi come per difendersi da quello che vedeva. Cosa succedeva? Aveva tanta paura che fossero i tedeschi che compivano qualche rappresaglia, forse proprio a causa di quei corpi a terra, vicino al negozio di frutta. Eppure…qualcuno stava gridando “evviva”, e poco a poco quel grido divenne simile a un rombo di tuono. Respirò profondamente, cercò di darsi il coraggio necessario per capire cosa stava succedendo.
Si affacciò di nuovo e la scena che le apparve sembrava quella di un film: vide degli enormi cingolati guidati da soldati con delle strane divise. La gente era come impazzita:
“ Gli inglesi, gli inglesi, bravi ragazzi, bravi…”.
Vide gli uomini col fazzoletto al collo salire sui carri armati e salutare con una lunga stretta di mano i soldati che stavano a bordo e che gli sorridevano.
Complottarono tra di loro qualche minuto e poi il corteo si diresse spedito verso la Casa del Fascio che si trovava proprio al centro della piazza, seguito dalla folla. Ad un certo punto, i soldati che stavano alla guida dei cingolati, fecero cenno alla gente, con grandi gesti, di allontanarsi, di non seguirli.
Si fermarono al centro della piazza e si disposero a cerchio. Noemi contò otto carri armati. Un gruppetto di soldati scese dai mezzi e assieme ad alcuni partigiani si diresse all’interno della casa del Fascio.
Ne rimasero qualche minuto. Nel frattempo in piazza era sceso un silenzio irreale. Dentro all’edificio c’era un presidio di soldati tedeschi e Noemi si chiedeva cosa sarebbe successo.
Di lì a breve, vide uscire un plotone di soldati tedeschi con le mani sopra la testa, seguiti dagli inglesi e dai partigiani. Li vide salire sulle camionette parcheggiate davanti all’edificio ed incolonnarsi verso l’uscita della piazza scortati dai cingolati inglesi.
Sembrava che sulla piazza fosse sceso il gelo, tutti rimanevano fermi, in attesa.
Si sentivano solo i rumori dei cingolati e delle camionette ed alcuni ordini perentori gridati dagli inglesi. I tedeschi erano rigidi e muti.
La colonna era ormai sparita dalla vista, i partigiani erano fermi a gruppetti al centro della piazza, vicino a tre carri armati inglesi che erano rimasti a presidiare.
L’atmosfera era densa e cupa. Noemi si chiese con angoscia cosa stesse ancora per succedere.
L’attesa durò poco.
Improvvisamente, come una cascata inarrestabile, decine di persone si riversarono al centro della piazza, mentre altre continuavano ad affluire ai bordi.
Dalla folla si levavano delle urla che sembravano di gioia.
Era confusa, non si rendeva pienamente conto di quello che stava succedendo, nel suo intimo la speranza cercava timidamente di farsi strada, ma il sentimento prevalente in quel momento era uno solo: la paura che qualche avvenimento imprevisto venisse a rovinare quella che le sembrava essere diventata improvvisamente una festa.
Si sentì prendere per un braccio ed incitare ad uscire da qualcuno che non conosceva.
Noemi uscì ma appena fuori venne presa alla gola da un senso di angoscia alla vista di tutta quella gente che correva da tutte le parti.
Si formavano cori , qualcuno si era messo a suonare la fisarmonica, alcune ragazze ballavano sopra ai tavolini esterni del bar, con intorno tanta persone che battevano il ritmo con le mani.
Di colpo si sentì afferrare alla vita e sollevare. Era Guido, un suo vicino di casa, un ragazzo col quale aveva iniziato a parlare da qualche tempo in amicizia e che le faceva una corte discreta, che, sbucato all’improvviso da quella marea di folla, sembrava fuori di sé dalla felicità.
Non era chiaro se ridesse o piangesse.
“ Vieni, andiamo a ballare anche noi, ci sono degli amici laggiù.”
Guido era un fiume in piena, come dirgli di no?
“ Ma io…si va bene, però tra poco vorrei andare a casa, lo sai che non mi…”
“ Ma cosa dici? Adesso festeggiamo, hai capito o no che è tutto finito?”
Cercarono di inoltrarsi tra la gente, poco distante c’era una trattoria dove un’ intera tavolata di amici di Guido sembrava li stesse aspettando.
Intanto cominciava ad imbrunire. Si preannunciava una bella serata tiepida di luna piena.
Si sedette al tavolo, vicino a Guido e ad alcune ragazze che conosceva di vista. Tanti avevano già bevuto parecchio e ridevano e cantavano e a Noemi sembravano dei pazzi.
Qualcuno le porse un bicchiere colmo di vino bianco. Lo sorseggiò come fosse stato una medicina. Non beveva mai vino, ma non le sembrava il caso di fare la difficile
Sul tavolo oltre alle caraffe colme di vino, c’erano fette di pane, salame e formaggio. Su invito di Guido, provò ad assaggiare un po’ di formaggio anche perché cominciava a sentire che la testa le girava.
Due fisarmoniche iniziarono a suonare una polca, si formarono alcune coppie, subito imitate da altre.
Anche Guido voleva ballare, ma lei si ritrasse decisa, disse che non si sentiva affatto bene e che aveva solo voglia di andare a casa.
Si accomiatarono dalla compagnia salutando con la mano ma nessuno sembrò fare caso a loro.
Si avviarono bici alla mano, verso la strada principale, dopo averle estratte dalla rastrelliera davanti al bar. Noemi voleva essere a casa prima possibile per raccontare ai genitori e ai fratelli più piccoli quella straordinaria esperienza e per sentirsi al sicuro.
Lo strada era piena di gente che procedeva in senso contrario. Decisero di prendere la scorciatoia attraverso i campi. Si stava facendo tardi e temeva che i genitori stessero in pensiero, a quell’ora avrebbe già dovuto essere a casa da un pezzo, sentiva già negli orecchi i rimproveri del padre.
Il cielo era stellato e una immensa luna bianca rischiarava la strada.
Ora si sentiva meglio, come liberata da un incubo e sorrise a Guido mentre lui, ricambiando il sorriso, girava la bici e la salutava con la mano.