Sgherri

Alla madre di Alexiey Navalny non è permesso di entrare all’obitorio per vedere un’ ultima volta il figlio. Non le rispondono quando chiede se si trova li o dove, poi le dicono che non può entrare senza dare altre spiegazioni e il suo avvocato che l’accompagna viene addirittura spinto fuori dalle guardie.

Questo narra il Guardian oggi e racconta l’odissea di questa donna che aveva un figlio in carcere da una vita, che doveva scontare 19 anni di galera per non meglio identificate colpe di “estremismo”, che era stato recluso in una colonia penale in Siberia, notoriamente un posto temperato e dove gli uccellini cantano da mane a sera e la imminente primavera prometteva prati ricolmi di ranuncoli e nontiscordardime per allietare la vista dei detenuti.

Immagino il viaggio che questa donna ha dovuto intraprendere per arrivare in quella terra cosi “amena” e inarrivabile e immagino lo scoramento nel sapere di non poter vedere per un’ ultima volta la salma di quel figlio cosi tenacemente e testardamente devoto alla causa della libertà.

Si sarà chiesta come mai proprio a lei fosse toccato un figlio cosi testardo, cosi incurante della paura, cosi eroico nella sua manifestazione costante della sua ricerca di libertà? Forse si, tante volte, ma ne sarà stata orgogliosa o avrà patito le pene dell’inferno pensando a quel figlio cosi tenace e però cosi braccato e punito per il suo pensiero libero?

Forse tutte e due le cose.

Certo che gli uomini sono ben infami quando arrivano a negare ad una madre anche la possibilità di vedere un figlio morto. Mi ricorda un’altra madre, alla quale è stato “permesso” di vedere il figlio in croce e quanto questa madre sia simile a Lei per la sofferenza che deve provare e quanto la sofferenza di una madre possa venire ignorata del tutto da uomini senza cuore e senza morale, di ghiaccio come la materia che li circonda, esecutori di ordini dall’alto, senza Dio e senza altra fede che il proprio meschino piccolo tremebondo interesse personale a sopravvivere in un mondo di sgherri. Eh, già infatti: “il coraggio uno non se lo può dare”.

Un piccolo mondo infame e senza speranza quello che nega ad una madre un ultimo abbraccio alla salma di un figlio, un mondo disumano che sta diventando prateria per lupi affamati e predatori. E chi grida:” viva il lupo”, non debba mai subire l’infamia di una porta sbattuta in faccia davanti al dolore più grande.

Compagno di viaggio

Ci sono dei luoghi, come persone, ai quali lasci un pezzo dell’anima. E ci sono luoghi che hanno essi stessi l’anima. E non la ritrovi la tua anima, quella che lasci nei luoghi o nelle persone, mai.
Resta con loro e ti manca per sempre e per quanto ti sforzi di metterci una toppa trovi sempre che non è mai adeguata e rimane sempre fuori qualche pezzettino che gronda sangue.
Un luogo può diventare solo un ammasso di ricordi, alla rinfusa, senza precisi contorni.
Soprattutto quando quel luogo è scomparso o è stato stravolto nel tempo. E non ci lasci solo un pezzo d’anima ma anche un pezzo di cuore. Lo sai che non ti sarà mai restituito ma non riesci a fartene una ragione.
Perché ragione non c’è. E’ irragionevole non dimenticare, lasciare che un luogo o una persona ti tengano per sempre prigionieri ma non puoi farci niente. Ti insegue ovunque quel brandello di anima e ti ritrova sempre e ti chiede disperata di essere riammessa a far parte a pieno titolo dell’anima intera ma non si può più riattaccare quel pezzetto, non esiste collante che possa riuscirci, non combacia più, non fa più parte di te è spurio, è irrimediabilmente alieno.
Tanto tempo fa, ma il tempo è sempre tanto anche dopo un solo minuto, anche un secondo,
quando ti allontani da te. Perché quel posto mi corrisponde mi si attaglia è un abito del quale mi sono spogliata e che ho lasciato li, per terra e non ho mai più potuto raccoglierlo. Ed è rimasto così per tanto tempo o anche solo un minuto o un secondo o un’eternità. Non importa.
Sta li. Il posto, le persone, l’anima e le anime, mie e loro. Fuse e allo stesso tempo sciolte da
qualsiasi vincolo.
Mi hanno portata via da li e anche quando ci sono ritornata, dopo, quel luogo era ogni volta
diverso, non mi apparteneva più. Si era allentato quel legame. Non era dipeso da me che ero
troppo piccola per decidere ma i posti sono permalosi, quasi quanto le persone e non dimenticano mai. Quando li lasci, li hai lasciati e non è più niente come prima. E spesso non ti riconoscono o fingono di non conoscerti per non lasciarti illusioni, per allontanarti dal dolore. E’ li l’anima dei posti, in quel dolore.
Non si misura il dolore.
Come descrivere un posto che trattiene un pezzo della tua anima? E perché? Farebbe male
descriverlo, sarebbe come girare un coltello in una ferita che non si è mai rimarginata.
Eppure anche i ricordi dolorosi contengono delle verità che sarebbe giusto che scoprissimo. Ma se le tengono molto ben strette, le difendono perché i luoghi sanno, conoscono e capiscono tutto.
Ma, spesso, tacciono. Hanno ragione. E’ meglio tacere perché tanto non capiremmo o potremmo equivocare e sarebbe ancora più doloroso.
La verità dei luoghi rimane scritta nella loro anima. Io l’ho cercata per tanto tempo e la cerco
ancora. Ma so che non la troverò mai. O forse è anche questa una speranza, sperare di non
trovarla mai la verità. Più di cosi non potrebbe far male la verità che non conosciamo. E allora a che serve cercarla? Per farci del male. Perché farci del male è anche un modo per soffrire di meno che aspettare che sia qualcosa al di fuori di noi a farcelo. Perché tanto, soffrire per soffrire preferiamo soffrire per cause che dipendono dalla nostra volontà piuttosto che da quella di estranei.
Siamo tutti estranei. Sempre, Siamo unità di dismisura. Siamo disuniti anche quando crediamo di essere uniti. Io, tu, noi, voi etc. etc.
E sono i luoghi quelli che potrebbero unirci ma quando li lasciamo non si fanno più riprendere e noi restiamo o diventiamo estranei a noi stessi per sempre.
Quello era il mio posto. Ma non hanno voluto riconoscerlo e non si è trattato solo di portare via una bambina da un luogo che aveva imparato ad amare e che avrebbe sofferto se ne fosse stata allontanata. Si trattava di molto di più. Ma ormai, cosa serve andare ancora a rinverdire quel dolore, cosa serve riportarlo in vita?
Quel dolore è simile, molto simile ad altri dolori che sto cercando di allontanare, di annacquare di rendere inoffensivi. Ma, forse, non posso e non voglio allontanarli perché sarebbe come allontanarsi ancora e, forse, per sempre da quel luogo.
Non lo descriverò per quello che era o quello che era o è nei miei ricordi. Non voglio riportare a galla quei sentimenti di rabbia, di esclusione, di irrefrenabile e incontenibile amarezza che non percepivo allora, non subito almeno, dopo l’allontanamento forzato. Perché non lo sapevo che era un addio, definitivo addio, addio per sempre anche se ci sarei ritornata, molte volte e avrei rivissuto le mie prime emozioni nell’accostarmi alla mia vita, non ci sarei ritornata più come un vero ritorno.
Ma voglio tornarci per provare a capire dove precisamente tutto è cominciato e dove, senza
volere, ho imparato la sofferenza.
E’ cominciato tutto un giorno di giugno, la mattina molto presto. Una cerimonia, abiti della festa, qualche fiore, i miei nonni più agitati del solito, qualche dolce mai assaggiato prima e qualche bottiglia di un liquido giallastro e dolciastro, sulla tavola, sopra la tovaglia della domenica anche se non lo era.
Avrei voluto andarmene fuori, come sempre, a seguire il volo degli uccellini tra i rami del pioppeto, ad accarezzare il tronco ruvido e familiare del ciliegio che stava mettendo i frutti. Lo sentivo che mi chiamava attraverso le finestre spalancate. E a correre nel prato e cogliere i ranuncoli e le margherite e intrecciarli per farmene collane. E invece no.
E qualche persona estranea entrava, chiedendo “è permesso”? e i nonni a rispondere con larghi sorrisi:” siii, avanti, avanti..” E poi lui. Un uomo mai visto. E parlava e sorrideva e mia madre gli rispondeva e gli sorrideva, socchiudeva ogni tanto gli occhi e buttava all’indietro la testa e non si accorgeva di me.
Ed è li che è sparito, quel posto, in quei sorrisi. Ma io non lo sapevo, né avrei potuto immaginarlo piccola com’ero e fossi anche stata più grande non avrebbe fatto alcuna differenza. I bambini non decidono con chi stare sono sempre gli adulti che decidono per loro, per il loro bene e anche perché così va il mondo. Sono i grandi che sanno quel che è giusto e quel che è sbagliato. Quando lo sanno e quando non è, semplicemente, più comodo per loro.
Ma lo si sa che per quanto si cresca e si consideri e si giri e rigiri la faccenda e la si cerchi di
inquadrare in un contesto che faccia piacere a chi deve avere una visione globale, matura,
consapevole delle cose e non si sente in nessun modo in colpa per aver, anche inconsapevolmente ( ma non può essere mai così), causato della sofferenza diluita nel tempo e mai sedimentata ma rimasta sempre a galla, fa sempre male ricordare.
Eppure voglio ricordare per non lasciare che la vita che passa mi porti via del tutto quel pezzetto di anima ancora incastrata tra quei mattoni ormai sbriciolati e in quel terreno, ora arido, un tempo curato e fiorito e rifiorito e in quel paesaggio sconvolto, senza memoria. Se non la mia.

Nel pomeriggio di quel giorno, finita la cerimonia a cui io non ho assistito che solo casualmente partecipe a qualcosa che non sembrava interessarmi, gli invitati sono passati ai saluti, rapidi quasi frettolosi e siamo rimasti in ristretta compagnia, quasi tutti noti, tranne uno.
Quell’uomo. Lui era ancora li. E continuava a sorridere alla faccia sorridente, un po’ accaldata sotto al cappellino di pannolenci con una veletta grigia sollevata sulla fronte e la rosa sul taschino della giacca del tailleur color cielo che cominciava ad appassire, di mia madre.
Erano due, ora. Due che formavano una famiglia ed io appartenevo alla famiglia appena formata ma lo avrei saputo solo qualche tempo dopo, quando me ne resi conto pur nell’inconsapevolezza di quella prima infanzia che stava per accedere alla seconda, senza preavviso.
Due auto nere attendevano nella stradina. Lucide, invitanti. Si va a fare un giro. Mi dissero. Ma
appena dentro, sul sedile dietro accanto ad uno zio, il più giovane, dopo aver salutato i nonni che piangevano, già sentivo che mi mancavano.
Ora che ci ripenso e che rivedo la scena si sta facendo strada un accenno d intuizione sul perché di tante cose.
Per esempio perché, da sempre, ho dei lievi sobbalzi al cuore ogni qualvolta ho l’impressione che qualcuno non mi stia dicendo tutta la verità? O che non mi stia precisamente mentendo, ma che non mi stia raccontando le cose come andrebbero raccontate.
Credo di aver sviluppato un intuito particolare verso le bugie o le mezze verità. Mi sale quella
stessa inquietudine che provai allora, solo qualche giorno dopo quella cerimonia e quel viaggio nell’auto nera fiammante e quei sorrisi reciproci. Distanti da me.
Poi me lo dissero, infine, che io ero la bimba di casa e loro due mamma e papà. Già. Di una lo
sapevo dell’altro neppure lontanamente lo immaginavo.
E si che di immaginazione ne avevo e ne ho.

Mi dissero in tanti in seguito, dopo, durante e anche molto dopo, persino ora, che è tutto apposto, cosa vai a rimescolare? Cosa vai a tirar fuori? Ritieniti fortunata e basta così.
Ho scoperto in cosa consiste la fortuna. E’ una scoperta recente, recentissima. Proverò a spiegarlo.
Forse non sarò esauriente la materia è troppo vasta, ma per me la fortuna è capire quando è il momento di smettere di cercare e trovare dentro di noi il compagno di viaggio che cerchiamo tutta la vita. E se anche lo troviamo non è detto che non ci serva l’aiuto della nostra forza interiore che tutti abbiamo ma,a volte, lo scordiamo e ci disperiamo. La fortuna è dunque scoprirlo e
trasmetterlo anche agli altri che percepiscono quella forza e serve anche a loro per avvicinarsi alla propria.
Di quel luogo restano solo una spianata di cemento e qualche albero orfano e macilento. Intorno: strade. Strade che non portano in nessun luogo se non hai già un luogo dentro che ti accompagna nel viaggio.

La città che respira

Quella città di me bambina

Non ha più gli occhi che

la scoprivano muti.

Non ha più voce che la

Notte serrava la gola ed

Il respiro fra le pareti

Di quelle vie strette

Quasi unite come

Amanti  timorosi

Di perdersi.

Ed il campo con la statua

e la fontana e

e i giochi e le corse e le risa

e la mia mano piccina dentro

quella mano che stringevo

per non perdermi mentre

accecata guardavo lassù

le guglie e i colombi che

mi sfioravano appena

e me ridente su quella

seggiola nera alta

sulla riva che quasi mi

lambiva i piedi e gli

uomini  a poppa delle

gondole e il fumo bianco

che saliva dall’acqua

di sera nella calura d’agosto.

E mia madre che sorride

Dall’alto del ponte e mi chiama

E arranco sospinta dalla gioia

E da quel cielo azzurro sopra

Di lei su quei gradini enormi

Fino alla cima, fino

Alla mela rossa a premio

Dello sforzo.

Venezia e mamma.  Due

Anime distinte e unite

Dal tepore di uno sguardo

E il calore di una mano.

Un uomo coraggioso

Ho appena appreso della morte di Alexiej Navalny, gli oppositori ai regimi non hanno vita lunga, non è arrivato a compiere 50 anni (ne aveva 47) . Forse i radicali liberi?
Alimentazione scorretta, abuso di fumo o altri vizi? No. A un mese dalle elezioni presidenziali in Russia, l’oppositore di Putin muore nella sua prigione di ghiaccio in Siberia, dove era stato traferito da poco per, pare, un’embolia. Pare si sia sentito male subito dopo una passeggiata…forse che prendere i freschi (come si dice da noi) gli abbia fatto male?
Immagino che i sanitari del carcere abbiano cercato di tutto per rianimarlo ( e lo scrivono i giornali) ma, guarda quando si dice il caso, senza successo!

Purtroppo un uomo coraggioso e addirittura temerario, ha pagato con la vita il suo ideale di libertà che non ha cittadinanza in un paese, grande o immenso fin che si vuole, ma che ultimamente fa paura. Al mondo intero e annessi e connessi.
Sembra quasi che “il destino” abbia voluto lanciare un ammonimento ai russi e al mondo: signori, non avrete altro zar al di fuori di “lui”.

Mi dispiace, veramente, per la famiglia ma anche per tutti noi, il mondo ha perso una persona di grande valore e il mondo di persone di valore ha veramente molto bisogno.

https://www.theguardian.com/world/2024/feb/16/russian-activist-and-putin-critic-alexei-navalny-dies-in-prison
https://www.open.online/2024/02/16/morte-alexei-navalny-russia-reazioni-internazionali/

I vanagloriosi

Comunemente si glorificano davanti a chiunque gli capiti a tiro, sono i vanagloriosi perché la gloria che si intestano in ogni occasione è vana. Vana perché se la inventano a proprio uso e consumo e l’autostima che hanno al top, guadagni ancora in altezzza.

Ma a sentire loro non è affatto cosi, anzi, sono “persone umili” o al massimo consapevoli del proprio valore ma senza sfarzo. Uno di questi, tanto per citare qualcuno di noto è l’ex presidente Giuseppe Conte.

Il prototipo dl vanaglorioso. Qualsiasi cosa dica è sempre e comunque un complimento implicito rivolto a se stesso. Lui stesso è un complimento vivente…a se stesso.

Ma guardatelo, sembra il famoso Pippo della ormai antica canzoncina…solo che Pippo (Giuseppe) Conte lo sa…eccome se lo sa. Solo se ne infischia perché non è solo vanaglorioso ma anche impudente. Come, del resto tutti i vanagloriosi.

Si è molto arrabbiato, strano per una persona cosi “mite” come lui pretende di essere, perché è stata istituita finalmente una commissione per indagare sulla sua gestione del Covid, si è sbracato ad insultare alcuni parlamentari accusandoli di voler fare campagna elettorale ai suoi danni.

Ma di che ha paura lui e il suo buon ministro Speranza? Che esca la loro inettitudine? Se hanno lavorato bene non devono avere paura di nulla.

Ma, dicevo, i vanagloriosi non permettono a nessuno di mettere in dubbio le loro, spesso solo millantate “grandi capacità”, ma come si permettono? E promettono sfracelli.

Eh si, e a volte mantengono perché i vanagloriosi sono anche molto vendicativi e quando si ha a che fare con uno di loro, bisogna attendersi che facciano qualsiasi cosa per ripristinare agli occhi del mondo ( ed ai propri) la loro (vana) “gloria”.

Come per esempio cecare tutti i mezzi per millantarla ancora. Inutile dire che i dittatori sono i primi vanagloriosi, vedi, per citarne uno a caso …Putin.

Da qualche giorno, dopo le sparate del suo sodale americano e la famosa intervista del prezzolato altro sodale di Trump, non fa che sviolinare quanto lui e sempre lui sia bravo buono bello e intelligente…finiremo col crederlo? Mi sa…ma io no, decisamente non gli credo. Si sappia. Con me, Mr. Putin la tua vanagloria è proprio vana.

Attenti ai cani

Guai ormai a dire: attenti al cane o ai cani perché i migliori amici a quattro zampe dell’uomo nonché della donna e dei bambini sono considerati ormai alla stregua di principini ereditari e tenuti nella stessa considerazione da padroni innamorati fino alla perdita delle bave e risponderebbero: attenti all’uomo, il mio cane ha già mangiato è buonissimo ed educatissimo…tu non so.

Ma purtroppo la stima ufficiale ma non del tutto definitiva e precisa, è di circa 70mila aggressioni all’anno da parte di cani molossi di varie razze considerate pericolose che ormai popolano le città e interi quartieri centrali o periferici sono letteralmente invasi da cani (stimati in 7 milioni ma pare siano molto di più) a passeggio coi padroni con guinzagli spesso molto lunghi o lenti o trascinati da anziani o bambini che a stento riescono a trattenerli dal fiondarsi addosso alle persone “inermi”. Dico inermi perché non andiamo in giro con la scacciacani ma ormai sarebbe utile averne una appresso in qualunque momento anche quando andiamo a fare due passi in centro: i cani senza guinzaglio o lasciati scorrazzare con una corda lunga 30 metri, sono diventati un pericolo costante.

L’ultima grave aggressione in ordine di tempo è quella di un uomo che faceva jogging nei pressi del bosco della Manziana vicino a Roma, sbranato a morte da ben tre Rottweiler scappati, pare da una casa vicina.

Vuole per favore il nostro governo fare delle leggi più severe che ci permettano di non dover aver il terrore di uscire di casa a qualsiasi ora del giorno o della notte per paura di venire sbranati da questi carissimi e preziosi compagni che però possono tramutarsi in assassini feroci? Grazie.

Ingiustizia

Qualche giorno dopo il terribile femminicidio di Giulia Cecchettin, scrissi sul mio blog e inviai alla rubrica di Beppe Severgnini sul Corriere: Italians, poche righe, poi pubblicate, dove affermavo che la presenza in TV della sorella della povera Giulia a poche ore dalla sua morte, durante una veglia funebre in suo onore, mi era sembrata sopra le righe e una strumentalizzazione di un fatto orribile appena accaduto.

Ecco, lo dico qui:

La risposta del giornalista è stata durissima, la potete leggere, invitandomi alla fine a vergognarmi e a chiedere scusa.

Una mia replica non è mai stata pubblicata e però quelle parole mi sono decisamente rimaste sullo stomaco, non credo di avere mai in vita ricevuto un simile ammonimento, neppure da mia madre.

Ora a distanza di qualche mese scopriamo che il padre e la sorella della povera Giulia sono piuttosto presenti nei media, compaiono in TV in talk show, recentemente hanno fatto ancora la loro comparizione alla celebrazione della laurea ad honorem per Giulia dove entrambi parlano a lungo, il padre ha scritto a tempo di record un libro edito da una nota casa editrice che uscirà a marzo…

La sorella ha contestato un pezzo contro la violenza di genere a Sanremo ottenendo di farsi dire da Amadeus che, gli dispiace ma non poteva invitarla sul palco dell’Ariston perché non aveva il suo telefono…

Marco Travaglio su di lei ha scritto:

«Si è fiondata nella famoseria sanremese inventandosi un’astrusa polemica contro il tristissimo e noiosissimo pistolotto del cast di Mare Fuori», commenta Travaglio. «Quando persino la morte dei propri cari esce dal silenzio che si deve ai defunti e diventa trampolino di lancio, ascensore sociale e quarto d’ora di celebrità, lasciateci almeno il diritto all’imbarazzo. E al fischio», conclude. Ma non mi risulta che nessuno ancora gli abbia detto di vergognarsi. E non credo, abbia motivo per farlo. Per quanto non lo trovi simpatico, gli riconosco del coraggio in certe sue affermazioni (non sempre scontato nei giornalisti)

Il padre oltre al libro pare si sia candidato co PD alle prossime europee, ma oggi smentisce. Paura forse che la “strumentalizzazione” da me evocata e contestatami cosi duramente, esca in tutta la sua evidenza? Forse lui e la figlia hanno battuto un po’ troppo il “ferro”?

https://www.open.online/2024/02/12/elezioni-europee-2024-pd-gino-cecchettin-candidatura/

Una smentita che sembra piuttosto una ritirata quasi strategica dopo la marea di insulti che, immagino, gli siano arrivati.

Insomma, alla fine, dell’assassino di Giulia non sappiamo più quasi nulla, ancora non è stata fissata una data per la prima udienza, in compenso però dei due familiari della povera ragazza veniamo a sapere tutti i giorni. Il loro sfrenato “attivismo” comincia a dar da pensare anche altri e il duro rimprovero che mi sono presa ormai tre mesi fa dal giornalista, sembra essere ora del tutto ingiustificato.

E una (per quanto involontaria) ingiustizia nei miei riguardi che avevo solo espresso un’opinione che a distanza di poco tempo si è rivelata quasi profetica.

Lo stolto

Trump dice chiaramente, durante un comizio, che se la Russia vuole attaccare qualche stato membro, la Nato non difenderà il paese attaccato dalla Russia se “insolvente” e quindi “delinquente” anzi “incoraggerà i russi a fare l’inferno” che vogliono perché devono pagare”.
Sono parole di pace queste? Per chi per anni ha sostenuto che Trump è sostanzialmente un pacifista, che durante la sua amministrazione non ci sono state guerre, è una conferma di quanto sia “buono” e di quanto tenga alla pace nel mondo e soprattutto quanto ci tenga a compiacere Putin suo amico personale e aiuto per arrivare ad essere eletto la prima volta. La seconda, ancora non sappiamo come, ma potrebbe esserci una grossa spinta anche questa volta ed è per questo che Tucker Carlson (uomo di Trump) è andato in avanscoperta a lisciare il pelo al dittatore, per mostrare i buoni rapporti tra lui e il prossimo (si spera proprio di no) presidente Usa.
Se Biden può essere definito “il vecchietto” il giovanotto 77enne Trump può bene essere definito lo Stolto.
E tra i due, mi pare che scegliere uno avanti con l’età sia decisamente meglio che scegliere un matto.

Ecco la minaccia di Trump verso i paesi membri della Nato che “non pagano i conti”:
https://www.open.online/2024/02/11/trump-europa-russia-nato-spese-difesa-video/

Truth

Alba is just a name

that comes from time to time

as a forgotten tale.

In mind I have those days

my childish fear and then

my mother who I pray.

I pray to tell me more

about that tale I know

she wanted I ignore.

But Alba was one day

the only one to know

the tale that I forgot.

And this is why I pray.

Alba don’t let it go

the secret keep in mind

try not to be too blind.

You’ll see what’s going on

for ages into my mind

if only you could show

the will to understand

and tell me all you know.

For truth is not a tale

and truth is hard to find

if only I could hold it

I’ll keep it safe in mind.

Foresta nera

Bisogna avere una foresta nera di pelo sullo stomaco e non possedere una coscienza per dire a un padre che ha perso un figlio che non si ricorda nemmeno quando è morto. Mi riferisco al giudice che ha emesso la sentenza del processo a Joe Biden relativo ai documenti classificati che deteneva a casa sua. L’assoluzione è arrivata con questa motivazione: “Troppo vecchio e malfermo con la memoria per poter reggere un processo” o giù di li.

Si tratta di una sentenza che farà epoca perché mai si era visto assolvere un presidente Usa con una formula del genere. Equivale a dire che è cosi rincoglionito da non sapere neppure che giorno è e sta malfermo in piedi e ne abbiamo pena e perciò lo assolviamo.

Gli americani non possono essere contenti di sapere che hanno un presidente che non si ricorda niente e nemmeno quando sia morto il figlio tanto da pensarci bene prima di votarlo e di avere però come alternativa un pregiudicato con 90 capi di imputazione in attesa di giudizio.

La moglie di Biden, Jill, ha scritto in una mail indirizzata ai sostenitori di Biden che è una cosa senza precedenti e molto vile cercare voti usando la morte di un figlio. Il giudice Hur è stato nominato da Trump, sospettare che lo stia aiutando a vincere le prossime elezioni non è malizia ma semplice riconoscimento di un fatto. Osceno. Jill continua dicendo che entrambi, lei e il marito ricordano molto bene quel giorno, il 30 maggio 2015 quando il loro figlio Beau morì per un cancro al cervello e come sia stato difficile “sollevarsi dal suolo” e che quello che mantiene in vita suo marito e lei è l’amore per il proprio paese e l’impegno che suo marito mette nel suo impegnativo ruolo.

Che Biden abbia 81 anni non significa che debba per forza essere quello che il giudice descrive: rincoglionito al punto di non ricordarsi neppure quando è morto un figlio, nessuno con un minimo di coscienza potrebbe scrivere una scelleratezza simile.

Solo un amico sodale di Trump che al posto della coscienza e del cuore ha un’ambizione che supera qualsiasi cosa, anche la vergogna.