Pollaio

Meloni: “decido io e non accetto ricatti”.

Schlein: “faccia i nomi di chi la ricatta altrimenti mente agli italiani”.

Due donne a confronto, una è premier l’altra segretaria del Partito democratico. La prima fa affermazioni lapidarie e non equivocabili, l’altra fa dell’equivoco la sua politica. Il PD è famoso per questo. Ma Schlein è in forse per la sua mancanza di carisma (ma non è una colpa) come lo è per la sua mancanza di chiarezza o semplicemente per la sua “mancanza”.

Si direbbe che la segretaria sia un’assente ingiustificata dalla scena politica. Troppo. Non è una buona politica non esserci. E se c’è la si nota poco o solo per le sue esternazioni blande o comunque sempre senza sostanza. Insomma a parte le smancerie con Conte, sembra avere poca stoffa di segretaria di un partito molto esigente: in quanto a stoffa ne è richiesta molta per guidare un partito cosi. Meglio sarebbe dire che servirebbe una coperta, molto larga sotto la quale si potrebbe andare a nascondere. Lei e il partito che guida.

Ora, pare le due donne ai vertici della politica italiana, avranno un confronto in TV, Meloni non si nega anzi pare sia stata proprio lei a chiederlo mentre l’altra nicchia.

E si nasconderebbe nella nicchia. Un buona nicchia dalla quale ogni qual poco lancia invettive poco credibili al governo, ma lancia. Qualche sasso che centra qualche testa governante, ma fa pochi danni. Per ora. Non sa a cosa aggrapparsi.

Ora si indigna: fa i nomi, dice. Ma che nomi deve fare Meloni? Il ricatto in politica è sempre stata l’arma più usata, non serve fare nomi. Meloni non dice che viene ricattata, dice che da lei le carte e che non sarà mai ricattabile.

Ma l’assente Schlein usa i giochetti di parole per gettare fango sulla sua prima avversaria. E’ una normale prassi da opposizione seria e consapevole dei problemi del paese? A me pare di no. Mi sembra più prassi da pollaio della politica. Solo che questa volta abbiamo due galline invece che due galli. Non sembri irriverente nei confronti delle due massime esponenti attuali della politica italiana, le galline sono animali molto intelligenti (a differenza di quanto cantava Pozzetto é Co.) e se combattono lealmente sarà un piacere guardale.

Ma non tentino di fare i galli perché perderebbero credibilità. I galletti spesso si scannano tra loro e l’effetto e spiacevole.

Le donne sappiamo usare questa occasione per confrontarsi con lealtà. Sono sicura che la politica tutta ne guadagnerà.

Un pirla di meno

Ma perché il deputato di Fratelli d’Italia, Emanuele Pozzolo andata a quella festa armato? Se la porta sempre dietro quella mini pistola? Che cosa teme? Di essere aggredito? Va bene, se uno fa il politico non è detto che debba girare per forza armato. Ma a lui quella pistoletta a quanto pare, piaceva. Forse gli dava l’impressione di stare dentro una botte di ferro, i casi della vita sono tanti. Ma deve averla presa da qualche cassetto e messa in tasca prima di entrare a quella festa di Capodanno, ma perché ? Si sentiva più sicuro ma da che cosa doveva proteggersi se era l’ultimo dell’anno e gli spari e i botti sono proibiti e non andava in nessun luogo che potesse essere considerato pericoloso? Insomma sembra una bambinata che un deputato della Repubblica non si dovrebbe permettere.

Eppure….lui dice di non aver sparato ma di aver solo estratto la pistola per mostrarla a qualcuno. Ma allora chi ha sparato e perché? Un colpo partito, pare accidentalmente, dalla sua pistola ha colpito un giovane alla coscia, un colpo di striscio che però ha richiesto un’operazione per l’estrazione e 7 giorni di prognosi. Ma poteva andargli peggio.

Ma chi ha sparato e perché Se non è stato Pozzolo? Ma il colpo può essere stato sparato da qualcuno al quale lui stesso aveva dato la pistola, per mostrargliela o perché questa persona gli ha chiesto di poterla tenere in mano per vedere l’effetto che fa. Ma non può essere che Pozzolo abbia dato la pistola a qualcuno senza sapere chi sia o se abbia sparato o meno. Perché qualcuno ha sollevato il cane per permettere al colpo di uscire dalla canna. Dunque ha effettuato una manovra ben precisa che doveva conoscere, prima di premere il grilletto e sono due le azioni consapevoli che questo qualcuno deve aver fatto prima che il colpo partisse, quindi non “accidentalmente”, nessun accidente ma volontà di sparare, magari a casaccio, ma essendo l’ambiente pieno di gente come si può pensare di sparare un colpo senza che questo vada a colpire qualcuno?

Pozzolo continua a dire di non aver sparato, ma allora chi ha sparato e perché?

Intanto, come è ovvio è stato sospeso dal partito, era il minimo: se sei cosi pirla da portare la pistola ad una festa e pubblicizzarla, farla passare di mano in mano o, addirittura provarla dentro un luogo chiuso ed affollato, sei uno che va tenuto sotto osservazione per capire quale rotella del tuo cervello, ha bisogno di manutenzione.

Più che la sospensione io direi la radiazione e il sequestro del porto d’armi a vita.

Anche se non hai sparato ma sei così fesso da trattare un’arma che può uccidere come un giocattolo per farti bello, meglio che vai a spalare foglie in qualche parco cittadino e anche li, devono perquisirti prima per vedere se non ti sei portato qualche gingillo, tipo un coltello da Marine per staccare le lumache dai tronchi degli alberi e poi darlo in mano ai bambini che giocano per vedere l’effetto che fa.

Ma potrebbe anche darsi che qualcuno volesse giocargli un brutto tiro e allora sarebbe tutta un’altra storia, ma la rotella da revisionare rimane. Come la radiazione dal partito e dal Parlamento. Troppo pirla, o “pistola” come dicono i milanesi, anche se, di certo qualche altro pirla in Parlamento a voler ben vedere si trova. Ma uno di meno è sempre meglio che uno di più.

Viva viva la BefagnaZ

Chiara Ferragni si è mostrata di nuovo ai suoi fans…meno male, stavamo in pensiero.

Povera donna, che avrebbe poi fatto per meritare il silenzio? Ora che il governo prepari una legge contro la beneinfischienza proditoria mi pare cosa buona e giusta ( Schlein e Conte saranno corrosi dall’invidia per non averci pensato), ma lei sembra, risorgerà presto dalle sue ceneri perché, se molte ditte la lasciano altre sono pronte a raccoglierla accoglierla e beneficarla ancora della loro preziosa e pregiata attenzione.

Che piova sempre sul bagnato sia una massima da tenere sempre a mente, va bene, ma qui si sdrucciola verso la fantaipocrita imprenditoria. Ma non è che se la sono inventata di sana pianta ‘sta storia del Balocco Farlocco? Erano un po’a corto di idee quei duexdue (il duo Ferragni Fedez) e i loro sondaggi privati li davano in caduta scoscesa verso qualche milionata di meno del solto introito da mille e una Chiara?

Mi sa…a pensarci però, anche chissene…direbbero i miei 22 tenaci lettori e però siamo sicuri che questa storia non ci stia facendo perdere di vista la realtà?

Quella di migliaia di giovani (ormai non più tanto) che, pieni di talento, faticano a trovare un lavoretto a 2 euro all’oretta anche se possiedono tre lauree e quattro master con l’applauso.

E questa qui riempie i giornali delle sue bravate con tanto di foto di (sotto) forme grinfagnate?

Anche se non mi chiamo Selvaggia un po’ di bestialità mi esce…anche a me…

Ecco la Befagnaz (ha cambiato logo per restare sulla cresta…) cosa ci porterà: una Ferragni in ripresa e con le marce a tutto sprint. Evviva l’Italia e le donne. C’è da essere contenti ( e anche un po’ becchi).

Le piante e noi

Questa mattina mi sono accorta di un condominio in costruzione, cresciuto dal giorno alla notte, in uno dei pochissimi spazi verdi rimasti nella mia città. Un pezzo di terra, una sorta di boschetto recintato, proprio in centro, salvatosi dalla speculazione, quasi per miracolo.

Ti sparisce la terra da sotto i piedi e alberi centenari vengono rimossi dal paesaggio come fossero oggetti ingombranti e fastidiosi. Tanto inquinamento e la conseguente pessima qualità dell’aria lo dobbiamo anche a questo scriteriato e continuo abbattimento di alberi sani. Mi è venuto un nodo alla gola e mi sono ricordata di un racconto che avevo scritto  dopo aver assistito all’abbattimento di alcuni splendidi pioppi ed ispirato dalla notizia che avevo letto su un giornale di un signore che piantava alberi, nella sua citta, dovunque trovava uno spazio libero per contrastare il cemento.

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Ormai lo conoscevano tutti in città. La sua auto portava sempre sul tettuccio un paio di alberelli e nel bagagliaio, una vanga, una falce e una tanica d’acqua. Paolo era conosciuto come “l’uomo degli alberi”.

Aveva un bel lavoro e una bella famiglia: moglie e due figli che andavano alle superiori, un ottimo lavoro in una multinazionale dove era amato e rispettato da tutti.

Ma appena aveva un minuto libero, Paolo lo impiegava per cercare i posti adatti per piantare alberi che poi curava personalmente.

Da quando aveva iniziato questa sua “attività” non remunerata che faceva per puro piacere personale, ne aveva piantato quasi cinquanta e poteva andare fiero, se la sua città, pur se fatta oggetto da anni di una speculazione edilizia incontrollata, poteva considerarsi ancora una città verde e un posto piacevole, nonostante tutto, dove vivere.

Aveva ereditato la passione per la natura e gli alberi, in particolare, dal papà che aveva coltivato fino alla morte un bellissimo orto e un piccolo frutteto in periferia, dove c’era ancora la casa di famiglia e dove ancora abitava l’anziana madre. Ogni tanto andava a trovarla e, assieme ai fratelli, badava all’orto e al frutteto in modo che non deperissero.  E buona parte della frutta e verdura che vi veniva coltivata, bastava al fabbisogno alimentare di ben quattro famiglie.

Paolo amava gli alberi come si può amare dei figli o dei fratelli o amici. Li piantava nei punti più disparati della città. Ovunque trovava un posto libero, magari ai margini di qualche cantiere o lungo strade periferiche, altrimenti disadorne dopo che il Comune aveva abbattuto le piante secolari che le adornavano, per ragioni di sicurezza, dicevano.

Ma lui , ora cinquantenne, ricordava molto bene quei viali dove passava in bicicletta assieme al padre da bambino e che d’estate erano un tunnel ombroso e confortevole nella calura e l’autunno le foglie coloravano le strade coi colori del sole che le tingeva di tutte le gradazioni del marron bruciato, del giallo e del rosso e che scricchiolavano sotto i suoi piedi quando le calpestava.

Compagni ed amici, li aveva sempre considerati cosi. E nel frutteto, da bambino, mentre guardava il padre piantare i piccoli arbusti che sarebbero diventati alberi rigogliosi e carichi di frutta, aveva imparato a considerarli degli esseri viventi, alla stregua degli uomini o animali. E gli parlava,  accarezzava i tronchi levigati o ispidi, si arrampicava su di loro per arrivare a cogliere l’ultimo frutto maturo sul ramo più alto.

Quel giorno Paolo aveva caricato sull’auto una bella magnolia, ancora un arbusto ma già carico di foglie, un piccolo pino odoroso, la tanica da 20 litri, i suoi utensili ed era partito per la sua missione, verso il tramonto. Voleva sbrigarsi per poter raggiungere i suoi per la cena.

Aveva individuato un posto ideale per piantarci i due arbusti e il giorno prima aveva messo due cartoni sui punti precisi dove intendeva piantarli.

Si trattava di una piazzola di sosta, sterrata, ormai abbandonata a causa di una rotonda che aveva deviato il traffico e dove crescevano ciuffi di erbacce e dove poco lontano si intravedeva una gru che sostava sopra alcune palazzine in via di costruzione.

Il posto era appena fuori dalle arterie principali del centro e poteva costituire un luogo adatto per piantarci, nel tempo, un piccolo boschetto che avrebbe compensato, almeno in parte, tutto quel cemento che andava coprendo una parte cospicua, ancora miracolosamente libera, di suolo.

Ma avvicinandosi al posto, Paolo aveva scorto, ancora da lontano, che era occupato da qualcosa che non distingueva ancora bene. Lo scoprì ben presto.

Era un’ auto agganciata ad una vecchia roulotte che prendeva buona parte della piazzola e sostava  sopra i cartoni che Paolo aveva messo la sera prima.

Scese dall’auto e si avvicinò. Bussò al finestrino della roulotte perché gli era sembrato di vedere qualcuno muoversi al suo interno.

-Si?

–  Era la voce di un uomo che rispondeva affacciandosi al finestrino.

– Scusi, disse Paolo – ma lo sa che qui non è un campeggio e non si può sostare?

– Lei é dei vigili?

– No, ma sono amici miei e le posso dire che conosco come la pensano e poi qui ci devo piantare due alberi, pensa di fermarsi molto?

L’uomo fece un cenno di aspettare. Dopo alcuni minuti uscì. Si presentò porgendo la mano. Era un uomo alto e robusto, più o meno coetaneo di Paolo.

Lo invitò a salire sul veicolo ma Paolo rifiutò. Non poteva fidarsi cosi ingenuamente di questo sconosciuto.

L’uomo sembrò capire la sua diffidenza e apparve di colpo rattristato e invecchiato.

Si sedette sullo scalino della roulotte e cominciò a parlare con un tono pacato e guardando davanti a sé come se fosse stato solo. Raccontò, semplicemente e con proprietà di linguaggio, che era separato, che aveva lasciato la casa alla moglie ed ai figli, che aveva perso il lavoro,  i suoi erano tutti giù in meridione e che era solo ed era stato sfrattato perché non pagava da mesi l’affitto. Un amico gli aveva prestato la roulotte e si era messo nel primo posto che aveva trovato e questo gli era sembrato appartato ma allo stesso modo, non lontano dal centro dove si recava per cercare un lavoro qualsiasi. Era stato export- manager di una grande azienda che aveva licenziato oltre a lui un sacco di altra gente che si era trovata in mezzo alla strada da un giorno all’altro.

Aveva raccontato tutto questo con poche parole e il suo sguardo era più volte sembrato appannarsi e le parole farsi inudibili ma si era sempre ripreso.

  • Scusa, sai, ho bevuto tutto il cartone e forse si sente. Non sono un ubriacone ma stasera non ho saputo trattenermi. Lo disse di getto, senza guardare l’interlocutore, si capiva che provava vergogna.
  • Non preoccuparti, rispose Paolo, succede. Capisco.
  • Andrai a denunciarmi?
  • Ma no, anzi, dirò al mio amico capo dei vigili di chiudere un occhio se può, è una brava persona, vedrai capirà.
  • E i tuoi alberi?

Paolo sembrò riscuotersi  e ricordarsi solo in quel momento il motivo per il quale era li.

  • Li pianto lo stesso, basta che ti sposti di qualche metro, ti faranno compagnia, li innaffierai e quando avrai trovato casa e lavoro li verrai a salutare qualche volta, cosa ne dici?

L’uomo annuì col capo e sorrise leggermente con la piega della bocca, mentre il resto del volto rimaneva impassibile.

Poi, dopo qualche minuto di silenzio quasi imbarazzante fece cenno a Paolo di attendere e salì sul veicolo che era diventato la sua casa. Ne tornò dopo qualche minuto con un piccolo oggetto in mano

Era una piccola maschera intagliata nel legno, l’uomo gli raccontò di averla acquistata in uno dei suoi tanti viaggi in Africa. Gliela donava come portafortuna perché gli era riconoscente del fatto di essere stato la prima persona in tanti mesi ad averlo ascoltato cosi a lungo.

Poi salì in macchina e si spostò di qualche metro.

Giusto quel tanto che bastava per far posto a due nuovi amici.  Mentre si apprestava a scavare, Paolo pensò che gli uomini e gli alberi, in fondo, hanno tante cose in comune.

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Il “mio” fiume

Il fiume è una presenza molto diffusa nel mio territorio. Ogni giorno, durante la mia passeggiata quotidiana ne costeggio uno, ma ce ne sono miriadi: fiumi, fiumiciattoli, rii e canali e canalette, dighe, chiuse…laghetti artificiali e naturali, è tutto cosi, dovunque. La presenza dell’acqua è una compagnia piacevole e della quale neppure mi accorgo tanto è costante.

Dovunque mi giri si vede il fiume che attraversa la mia città e si gira e rigira a volte pigramente e a volte con più forza, si ingrossa e ritorna placido dopo i temporali, va in secca durante le estati siccitose o arriva quasi a tracimare negli autunni particolarmente piovosi.

Ci sono abituata, da sempre. A volte fa un po’ paura. E, anche se è successo che in qualche punto abbia, a volte, rotto gli argini , ma non ha mai causato danni troppo gravi. In più punti è stato deviato, cementificato, costretto a prendere altre direzioni, ma non ha mai “protestato”, si è sempre adattato al nuovo corso e ripreso a scorrere tranquillamente mimetizzandosi con il paesaggio circostante e impreziosendolo.

Quello di cui parlo non è un gran fiume, ma un piacevole corso d’acqua ombreggiato sulle due sponde da una fitta vegetazione e dove famigliole di uccelli acquatici trovano il loro habitat naturale. In questo periodo ci sono molti nuovi nati ed il percorso che faccio quotidianamente ne è piacevolmente affollato.

Sono presenze deliziose che accompagnano il tragitto che giorno dopo giorno si fa sempre più verde e punteggiato di fiori e impercettibilmente ma decisamente, cambia, si trasforma si tinge e scolora a seconda delle stagioni ed è quella metafora della vita che ben conosciamo.

“Il fiume scorre lento, frusciando sotto i ponti, la luna brilla in cielo, dorme tutta la città…” dice una strofa di una celeberrima canzone di Domenico Modugno: “Vecchio frack”. E’ una canzone splendida soffusa di maliconia e con un sottofondo di lieve e velata ironia. Il fiume ne è il protagonista, il fiume che rende poetica anche una storia tragica. Il fiume che ci ricorda che tutto scorre e tutto passa, tutto arriva a destinazione, il fiume che nasconde segreti ma è capace di riportarli a galla e farci ritrovare e riscoprire consapevolezze che credevamo perdute.

A guardarlo, ogni mattina, mentre gli cammino accanto e lo osservo distrattamente, mi capita di sentirmi una parte del panorama.

Mi mimetizzerei anch’io, volentieri tra le acacie fiorite e a volte invidio il profumo che emanano, soprattutto la sera, e mi vedo trasformata in quell’unico ontano che da anni è rimasto solo dopo che gli altri due che gli crescevano accanto , sono stati abbattuti da un furioso temporale. Sembrava cosi solo e disperato qualche tempo fa, ma ora ha ripreso vigore ed è cresciuto cosi rigoglioso da non far più rimpiangere i suoi fratelli scomparsi. Ed emana una forza vitale talmente luminosa da sembrare fornito di una anima e chissà che non ce l’abbia davvero nascosta tra i cerchi concentrici che formano il suo grosso e robusto tronco, sviluppatosi negli anni ed ora cosi maestoso e ricco di sana autorità. A voler significare che dopo la tempesta, qualunque tempesta, quello che sembrava mortificato e incapace di reagire, ritorna presto a riprendere forza e nuova vita, più forte di prima.

PS: questo post è “vecchio” ma ogni tanto lo pubblico perché mi sembra rasserenante.

Copertina

Buongiorno e Buon anno a chi passa di qui. Ai “vecchi” lettori, “consumati” (soprattutto dalle nostre piccole dispute) o per caso, alla deriva, ritrovatisi qui, a bordo del fiume coi cignotti all’erta, ormai cigni maturotti.

L’anno nuovo non si è presentato proprio benissimo: il Giappone ha tremato di brutto e le guerre purtroppo continuano.

Ma ha solo poche ore, diamogli qualche possibilità. Può darsi che ci porti anche qualche cosa di buono. Almeno lo spero.

Ho solo sbirciato il discorso del capo dello Stato, mi pareva in piena forma: in piedi e ben pettinato, come sempre. E sicuramente ha detto cose di buon senso ma sappiamo bene che

le parole volano, ma ci sta. Lo deve fare è il “mestiere” suo. Auguri anche a Lui, che, in fondo, ha le sue belle gatte…anche se non ce le fa vedere.

Altro per ora non so ( e non vorrei neppure tanto sapere…) e perciò ringrazio chi legge, chi scrive, chi litiga, chi rimbrotta. chi se la prende con le “regole”, chi se n’è andato, chi potrebbe arrivare, insomma, il 2024 è un libro ancora tutto da leggere ( anche per questo piccolo spazio internettiano).

Speriamo che chi lo ha scritto sia stato magnanimo o, perlomeno, non abbia calcato la mano.

La copertina dice poco, con pazienza, scorriamo le pagine ad una ad una, mi sa che voleranno pure loro.

Speriamo che l’anno nuovo assomigli a questo splendido animale ( Ecco vorrei questa “copertina”).