In questi giorni si parla molto di Democrazia.
O meglio, ne parla chi la vuole difendere o al contrario, svilirla e denigrarla.
Tutto questo dibattito (inutile) sul Green Pass e su come molti trovino che sia dicriminatorio e che obbligare degli adulti a fare il vaccino, senza avere ancora prove scientiche della sua efficacia (tutti gli esperti dicono che ci vogliono anni per testarlo e per studiarne gli effetti) è anti democratico, va contro la nostra Costituzione.
Chi taccia di qualsiasi epiteto vegognoso e offende o dileggia chi scende in piazza per la libera scelta e non per l’imposizione, si sente molto democratico ma, nei fatti, dimostra chiaramente di non esserlo o meglio di avere un’idea e un concetto estremamente confuso della democrazia.
Una studiosa molto conosciuta ne ha fatto il perno della propria vita, parlo di Hannah Arendt.
Di lei si è scritto molto. Questo, molto in sintesi il concetto di Democrazia che Arendt vuole esprimere nelle sue opere:
Tratto da Il Foglio:
“Chi cerca nei testi di Arendt il cinismo distaccato dei realisti, vi troverà il pathos coinvolgente degli utopisti. Vi troverà un immaginario di speranza per le ‘faccende umane’ che non idolatra la distruttività della critica e osa parlare dell’esperienza politica in uno spazio pubblico condiviso come di un’esperienza di felicità”. Con queste parole Adriana Cavarero, una delle più note filosofe italiane di oggi, consegna al lettore il suo giudizio su Hannah Arendt, la celebre pensatrice tedesca vissuta tra il 1906 e il 1975. Si tratta, in particolare, di valutazioni riguardanti l’ampia e articolata riflessione che Arendt dedicò all’agire politico e che rappresenta il contributo più alto da lei elaborato nel contesto della sua attività di attenta e profonda indagatrice della vita umana, cresciuta alla scuola di figure del calibro di Guardini, Bultmann, Heidegger e, soprattutto, Jaspers. Grande conoscitrice delle antiche dottrine politiche – Aristotele rimase sempre per lei un punto di riferimento imprescindibile –, critica severa di ogni forma di totalitarismo, attaccata duramente da più parti per aver definito il nazismo un’espressione della banalità del male, Arendt viene considerata uno dei maggiori interpreti del concetto di democrazia. Non casualmente – afferma Cavarero –, “il riferimento ai testi arendtiani è frequente da parte di numerosi autori del nostro tempo che reinterrogano proprio l’idea di democrazia per rintracciarne il senso in alcuni eventi del presente. Ossia che cercano di sottrarre la parola democrazia alla sua disturbante genericità e tentano di afferrare il nucleo concettuale della vera democrazia”. Non sorprende il fatto che, negli ultimi tempi, da quando si sono intensificate le discussioni sul risorgere del populismo, abbia fatto registrare un forte aumento delle vendite l’opera forse più famosa di Arendt, Le origini del totalitarismo, risalente al 1951 e tradotta per la prima volta in italiano nel 1967. Per quanto affascinata dall’Atene periclea, considerata la culla della democrazia, Arendt, come avverte Cavarero, si dimostra molto parsimoniosa nell’usare il termine stesso democrazia, perché, a suo giudizio, esso è ambiguo. Coloro che oggi parlano di democrazia radicale, anarchica, selvaggia, guardano con particolare interesse alla prospettiva arendtiana “che si pone come antitetica rispetto a qualsiasi concezione verticale o gerarchica del potere e che si caratterizza invece come un potere diffuso, partecipativo e relazionale, condiviso alla pari, anzi costituito da una pluralità di attori. I quali sono uguali proprio perché condividono orizzontalmente questo spazio”.
Ecco, “una pluralità di attori”, questo è un concetto che applicato a quanto succede qui e ora, può esprimere meglio quello che accade:
un gruppo di governanti facenti parte di una coalizione di governo nata dalle ceneri di due fallimenti precendenti ed escusivamente concepita per trarre dalle secche un paese disastrato sutto molti profili: in una situazione sanitaria che ha mostrato tutte le falle di una democrazia imperfetta, approfitta del momento per emanare norme che costringeranno i cittadini a entrare nella logica di vaccinarsi per forza perché altrimenti saranno indicati al pubblico ludibrio e mancheranno delle prerogative per essere cittadini nel pieno delle proprie facoltà e di fatto, verranno discriminati ed impediti a svolgere le normali attività quotidiane.
Questo è fuori da tutti i parametri che i nostri padri costituenti avevano fissato quanto hanno scritto la Carta nata dal sacrificio di tante vite che non hanno esitato a dare la propria in nome della Libertà.
Libertà di scelta è un diritto e una prerogativa di ogni cittadino adulto che vive in un paese davvero democratico.
Da La vita activa:
”
- La nostra è forse la prima generazione divenuta pienamente consapevole delle conseguenze atroci che discendono da una linea di pensiero che costringe ad ammettere che tutti i mezzi, purché siano efficaci, sono leciti e giustificati per conseguire qualcosa definito come un fine. (V, 31, p. 176).
- H.A.