A che cosa serviva portare la mascherina per proteggersi dal Covid, se poi doveva finire schiacciata da una macchina tessile? Cosi, Luana, 22 anni ha finito di vivere, durante il suo turno in una fabbrica tessile tra Prato e Pistoia.
Pare che gli infortuni sul lavoro in Italia siano in crescita: due morti al giorno, in media. Sono un’enormità.
Luana aveva un figlio di cinque anni che è rimasto orfano. Questa volta non si tratta di femminicidio ma di infortunio sul lavoro. Con questa definizione vengano derubricati troppi morti, troppi incidenti che si potrebbero evitare investendo di più sulla sicurezza.
Non si risparmia mettendo a rischio la vita dei lavoratori. Lo sentiamo dopo ogni tragedia, ma poi tutto rimane come prima.
Eppure il modo per investire in sicurezza ci sarebbe ed è il migliore investimento che possa fare un’azienda: proteggere la vita dei suoi dipendenti.
Sono loro a mandarla avanti e sono loro che hanno diritto ad essere tutelati e ad aver salva la vita mediante accorgimenti che non devono gravare troppo sui bilanci delle aziende che, magari, faticano ad andare avanti.
A questo punto deve intervenire lo stato. Si pensi a incentivi per chi investe in sicurezza, si aiutino le aziende che hanno difficoltà e si impongano sanzioni severissime a chi non si adegua a standard di sicurezza che devono essere elevati non minimi.
E si prenda la morte di Luana D’Orazio ad esempio di tante vittime del lavoro e se ne faccia un simbolo perché non succeda più che una ragazza ventenne, già madre, non torni a casa la sera perché la fabbrica dove lavorava non ha pensato a dispositivi che avrebbero potuto salvarle la vita e farle riabbracciare il figlio. Perché non succeda più a nessuno di non tornare a casa dopo il lavoro perché un infortunio che si poteva e di doveva evitare se l’è portato via. E con lui una vita di sacrifici e speranze e sofferenze e ansie e attese di un futuro migliore.
Mai più morti sul lavoro, mai più. Un paese che si definisce civile non se li può permettere.
Solidarietà alla famiglia di Luana D’Orazio, al suo bambino e alle famiglie di tutti quelli che non sono più tornati a casa perché il lavoro tanto desiderato si è trasformato in una trappola mortale.
Le chiamano morti bianche, chissà perché, forse per renderle meno visibili e la coscienza rimorde meno. Io le chiamerei morti nere, come il lutto che si portano dappresso. Poi leggo sul web “L’uso dell’aggettivo bianco allude all’assenza di una mano direttamente responsabile dell’incidente”.
No, non è così, un responsabile c’è sempre, e nella maggior parte dei casi è il datore di lavoro che non ha provveduto alle misure di sicurezza adeguate che pure la legge prescrive.
Davvero inconcepibile che si muoia a causa del lavoro che ti sostiene e che magari hai tanto faticato a trovare.
La cultura della sicurezza nel lavoro è ancora lontana dall’essere recepita.
I controlli si fanno sempre a disgrazia avvenuta, oppure su appuntamento in modo da sistemare tutto all’uopo. Ora però non è giusto dare addosso per principio al datore di lavoro, in quanto qualche volta capita la combinazione di “sfighe” che causano il disastro. Un morto sul lavoro al giorno comunque è troppo. Forse Fedez, dall’alto della sua insipienza, il 1 maggio avrebbe potuto dare risalto a questo, invece delle frasi idiote di qualche assessore di provincia, magari già rimosso.
Risposta
beh, la combinazione di “sfighe” ci può stare ma queste tragedie vanno avanti da troppo tempo e si ripetono ogni giorno, troppo comodo dare colpa alla “sfiga”.
Credo che vadano aiutate quelle aziende che hanno problemi nell’aggiornarsi con le norme e sanzionati di più quelli che se ne fregano (questo l’ho scrivo anche sopra).
Per non smentire la statistica, anche ieri un incidente mortale sul lavoro, si tratta di un uomo di 49 anni, morto schiacciato da un tornio meccanico, in una fabbrica di Busto Arsizio (Varese).
Possibile che l’Italia debba possedere tutti i record negativi tra i più grandi Paesi europei? (sembrerebbe insieme con la Francia)
risposta
L’Italia ha molti pregi: un paesaggio magnifico borghi stupendi, opere d’arte ineguagliabili e poi ha una classe politica che rispecchia un difetto del paese intero ( senza però generalizzare ma in gran parte è cosi): la faziosità.
Il parteggiare piccolo e meschino per qualche ideologia spicciola legata ad interessi particolari che poi, tradotta in forza di governo, si deve inerpicare tra mille contraddizioni e alla fine, creare il caos dove ci sarebbe bisogno di una visione ampia e che vada nella stessa direzione: il famoso Bene Comune.
Personaggi o a valte addirittura macchiette, vedi il comico geneovese, assurgono di colpo a geni della politica e fanno danni enormi.
Ci sono molti altri esempi ma mi fermo qui. Per ora. Ma aggiungo solo che non si può genericamente accusare il “capitalismo” come ho sentito fare, troppo comodo, si devono fare nomi e cognomi di chi nella propria azienda non attua le norme di legge legate alla sicurezza e non si adegua e la politica ha molte colpe nel non farle rispettare.
Be’non sarà capitalismo, ma coloro che muoionosono sempre i lavoratori, mai i padroni.
Oggi a Gubbio un’esplosione in fabbrica, e altri due morti.
Il capitalismo selvaggio di un tempo non c’è più -sofferenze, sfruttamento, morti, proteste, scioperi, sindacati, leggi- hanno limitato il fenomeni e smosso le coscienze. Le aziende più lungimiranti ormai si adeguano non solo per la sicurezza, ma anche per il rispetto edell’ambiente, ma ce n’è voluto.
E tutt’oggi nella mentalità della piccola imprenditoria questo concetto di sicurezza e rispetto ecologico, non sempre è tenuto nel giusto conto. Prova ne sia che si seguirà a morire in maniera inaccettabile.