Melania in punta di tacco, Donald in punta di petto, quasi insalutati ospiti, hanno attraversato il prato della Casa Bianca per salire per l’ultima volta sull’Air Force One. Bye bye Baby.
La faccia triste e scostante dell’America, date le spalle al mondo, se ne va verso altri lidi.
Zio (Fester) Donald, lascia il posto a brother Joe e sister Kamala. Una bella coppia.
Possiamo fare quanta ironia vogliamo, ma io l’ho trovata una bella cerimonia “all’americana”, con tanto di inni cantati da stars e alla fine una poesia recitata dall’autrice, una deliziosa ragazza di colore di 22 anni: Amanda Gorman.
Qualche lacrima bagnava le mascherine. C’erano tutti gli ex e le ex, mancava solo lui ma non se n’è sentita affatto la mancanza.
Mike Pence a mano della moglie era stretto nel suo cappotto nero, pallido e visibilmente a disagio. Dimesso. Come è giusto che sia.
Ma ormai al suo posto c’è Kamala Harris, prima donna vice presidente e di colore della storia e con tutta probabilità prossima candidata alla Casa Bianca, sfolgorante in completo azzurro e sorridente sotto la mascherina e anche sopra. Incontenibile la soddisfazione e chiaramente visibile anche sulla faccia seminascosta.
Hanno giurato sulla Holy Bible entrambi, mano alzata e sguardo limpido.
Poi Joe R. Biden ha preso a parlare. Un discorso da presidente il suo ma anche un discorso con l’anima. Il concetto che lo compendia è che gli americani devono ritrovarsi uniti anche nella diversità di idee, è su questo presupposto che si fonda la loro Democrazia.
Che può essere messa a dura prova, avvilita e persino calpestata, ma che poi rialza sempre la testa. Uniti si vince, ha detto il 46esimo presidente degli Stati Uniti. Mite, quasi dolce, ma con sguardo fiero e voce ferma. Ed ha aggiunto che è il momento di essere “bold”,( coraggiosi) e lui di coraggio ne deve avere davvero tanto per affrontare una simile sfida.
A tratti Bill Clinton, inquadrato di soppiatto, sonnecchiava accanto alla fiera Rodham Clinton che non faceva una piega.
Nel complesso, pur con un servizio d’ordine imponente, la cerimonia mi è sembrata persino, a tratti quasi familiare, come se si fossero ritrovati un gruppo di compagni dopo tanti anni e tante peripezie. Ma si percepiva anche lo sforzo immenso degli organizzatori e l’ansia per il virus.
Mi ha fatto tenerezza una ragazza del picchetto d’onore con mascherina nera e mano sulla fronte in segno di saluto, mentre accoglieva le personalità giù dalla grande scalinata. Impeccabile e severa, con l’aria di una che fa sul serio, il capo rasato e due bellissimi occhi neri luccicanti su un viso dalla pelle scura, fiera di essere li.
Sullo sfondo la sagoma palladiana di Capitol Hill, da troppo poco profanata e però subito ripristinata e splendente in una giornata di freddo pungente ma chiara e luminosa. Parole, voci, suoni, musica si spandono nell’aria, si stiracchiano e poi si siedono sui gradini in attesa che qualcuno li chiami a testimoniare.
Un buon inizio, speriamo, la strada è lunga e piena di pericoli ad ogni passo, ma è importante e non solo per l’America che Joe Biden sia davvero il presidente che risana le ferite e ridona ottimismo ad un mondo sempre più lugubre.
Good luck mister President.
The new dawn blooms as we free it.
For there is always light,
if only we’re brave enough to see it.
If only we’re brave enough to be it.
Un alba nuova fiorisce mentre le ridiamo la libertà
perché c’è sempre luce,
solo se siamo abbastanza coraggiosi da vederla.
Solo se siamo abbastanza coraggiosi da interpretarla.
Amanda Gorman The hill we climb
Mi ero persa la cerimonia di insediamento alla Casa Bianca di Biden, o meglio ne avevo visto alcune immagini nei telegiornali.
Devo ringraziare Mariagrazia per averla descritta cosi bene e con tanta partecipazione da farci quasi vedere le immagini in tempo reale.
Auguri al nuovo Presidente, e alla sua collaboratrice, l’attende una grande esperienza, non è facile stare alla guida della più grande Potenza mondiale, ma certamente deve essere un’esperienza esaltante.