Credo che mai come in questo momento le regioni italiane, tutte, siano accumunate da un solo problema comune: uscire al più presto dall’emergenza provocata dall’epidemia di Covid19. E mai come in questo momento però, io credo, ci sia bisogno di unità, di quell’unità d’Italia che ancora non è del tutto compiuta. Troppo spesso e ancora oggi, si percepiscono forti i contrasti e divisioni che hanno portato e portano tuttora a tensioni tra le “due Italie”, quella del sud e quella del nord (il centro se la cava sempre essendo in mezzo e tra i due litiganti, sappiano bene come finisce spesso per il terzo). I motivi sono tanti, storici, culturali, economici, politici…
Per cui credo giusto pubblicare questo intervento di Alessandro sull’ultimo rapporto Svimez che fotografa la situazione attuale del Sud d’Italia che come tutti sappiamo bene è ricco di storia, di cultura di arte e di paesaggi mozzafiato. L’Italia è bellissima è il mio paese e io lo amo e non sarebbe bella e interessante com’è senza anche una sola delle regioni che la compongono, ognuna è preziosa e incantevole ed ha le sue peculiarità che la rendono unica ma tutte insieme compongono una penisola che è un unico paese ed è forte solo se sa essere e rimanere unito.
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E’ uscito, come ogni anno, quel rapporto Svimez che sonda la condizione del Mezzogiorno d’Italia in relazione al resto del Paese, ma quest’anno con due novità, l’influenza dell’epidemia sullo stato del Paese, e la condizione dell’Italia rispetto ai maggiori paesi europei.
Cercherò di sintetizzare e di semplificare al massimo una materia, già ostica di per sé, fatta di rilievi statistici di numerosi parametri, elaborazione di essi, tabelle e grafici, ed infine conclusioni e proposte che dalla studio si desumono.
La prima conclusione è che l’intero Paese mostra “segnali evidenti di arretramento nel panorama europeo”, già nel periodo precedente alla pandemia (2015-18) il PIL italiano era cresciuto del 4,6%, ossia la metà della media europea (+9,3%).
La seconda conclusione è che si nota un ampliamento delle disuguaglianze tra Centro Nord e Mezzogiorno: nello stesso periodo, 2015-2018, il PIL del Mezzogiorno era cresciuto del 2,5%, meno delle metà di quello del Centro Nord (5,2%).
La terza conclusione è che, dopo la prima ondata di pandemia, Il Sud ha subito un impatto negativo più forte in termini di occupazione, in generale, e di occupazione giovanile, in particolare (questa 27,1%, contro il 46,3% del Centro-Nord e il 55, 4 % dell’ Europa).
Ed ecco gli altri risultati: l’occupazione femminile, già ai minimi europei, si è ulteriormente ridotta nei primi sei mesi del 2020. Quella altamente qualificata è calata ancora più sensibilmente: -16,2% rispetto al -4% del Centro-Nord.
Il divario nei servizi essenziali -trasporti, scuola, sanità- a sfavore del Mezzogiorno è aumentato, causa una minore quantità e qualità delle infrastrutture sociali riguardanti i diritti fondamentali di cittadinanza
In particolare, il divario nell’offerta formativa, è sintetizzato da una spesa pro capite che va dai 1468-866 euro per Centro, Centro-Est, Centro-Ovest, ai 415-277 delle Isole e del Sud.
Nella sanità la spesa pro capite passa dalle 2000-2100 delle regioni Umbria, Toscana, Lombardia, Emilia-Romagna, Molise, Liguria, ai 1700-1800 euro delle regioni Campania, Calabria, Sicilia
Infine, il rischio di default delle imprese del Mezzogiorno è 4 volte superiore che nel Centro-Nord.
A fronte di tali sperequazioni lo Svimez suggerisce due macro-priorità.
La prima: “Superare la pratica delle spesa storica”. In altre parole la spesa storica pro capite nel Mezzogiorno è rimasta sempre inferiore a quella del Nord, anche dopo la clausola legislativa che la fissava al 34% in proporzione al numero di abitanti. Ciò al fine di garantire omogeneità e accesso a fondamentali diritti di cittadinanza: salute, formazione, mobilità”
La seconda: “Dare corpo al Progetto Southern Range mediterraneo”, che prevede la dotazione di infrastrutture del quadrilatero ZES (zona economica speciale, Napoli-Bari- Taranto-Gioia Tauro da estendersi alla Sicilia, le autostrade del mare, le connessioni secondarie tra arterie strategiche e aree interne), nonché il sostegno alla transizione ecologica e digitale.
Di fronte l’ennesimo rapporto Svimez, c’è da chiedersi se finalmente verranno prese quelle iniziative volte a ridurre le diseguaglianze e promuovere la coesione del Paese.
http://lnx.svimez.info/svimez/wpcontent/uploads/2020/11/rapporto_2020_intervento_bianchi.pdf
Alessandro Stramondo
Mariagrazia, ti ringrazio per la pubblicazione, e di avere dato voce ancora una volta ad un grave problema che mina da sempre l’unità d’Italia.
Risposta
…si, ammesso che ci sia e non solo sulla carta… speriamo.
Però, il problema delle divisioni interne di una nazione non è solamente nostro. In UK esistono da secoli tra Inghilterra, Scozia, Galles e Cornovaglia, in Spagna tra Castiglia, Paesi. Baschi e Catalogna, in Russia tra le centinaia di etnìe. In Africa abbiamo visto i massacri tra Utu e Tutsi, in Sudafrica Zulù e Boscimani non vanno d’accordo, e così i discendenti di inglesi e boeri. In USA, sudisti e nordisti nutrono ancora reciproci rancori dopo più di 150 anni dalla Guerra Civile. Noi, se non altro, siamo solo al Terrone e Polentone. Chi va oltre è un ritardato storico e mentale.
Tra le priorità non ho letto l’estirpazione di mafie, camorre, ‘ndranghete e corone unite. Queste ostacolano qualsiasi tentativo di investimento e sviluppo nel sud inducendo le popolazioni ad un atteggiamento assistenzialistico. Ho detto niente. Sono anni che ci si prova, ma finché sono collusi i politici e le forze che dovrebbero ripulire dal marciume l’impresa avrebbe del miracoloso. Col mandare altri soldi e finanziare infrastrutture si rischia ancora di innaffiare solo l’erbaccia.
Mariagrazia, hai fatto bene a porre l’accento sul turismo, il Mezzogiorno potrebbe trarne grande vantaggio col suo clima mite, le sue bellezze naturali, le città, le spiagge, le vestigia archeologiche, i monumenti, le testimonianze di civiltà antichissime e l’impronta di vari popoli, fenici, greci, romani, arabi, normanni etc.
E con poi con la usanze e i costumi tradizionali, il carattere notoriamente accogliente.
Purtroppo la politica in passato ha commesso gravi errori, trascurando queste risorse, puntando su progetti sbagliati, come le immense raffinerie di petrolio installate in Sicilia, ad Augusta e a Gela, oppure l’acciaieria di Taranto, opere fatte senza le adeguate protezioni per limitarne l’impatto ambientale.
Mauro, il rapporto Svimez non si occupa di problemi sociali, ma strettamente economici.
Alla sua considerazione “finché sono collusi i politici e le forze che dovrebbero ripulire dal marciume” aggiungerei, e finché parte della nostra società è disposta anch’essa a trarne profitto.
Trascrivo il commento del risvolto di copertina del libro “La mafia siamo noi” di Sandro De Riccardis:
“Spesso si parla di “infiltrazione” di mafie come se qualcosa di infetto entrasse in in tessuro sano, ma sono tante le fasce sociali invischiati nella rassicurante zona del compromesso e della contiguità.
La mafia è una presenza pervasive, una rete che tiene insieme le molte figure che fanno funzionare l’economia, la politica, la società: piccoli e grandi imprenditori, uomini di chiesa , professionisti, manovalanza, funzionari, pedine mute che lasciano che le cose accadano, senza reagire.
Risposta
non so se questo articolo possa aiutare (il tema è troppo vasto) ma forse qualcosa dice o forse è soltanto uno dei tanti “punti di vista” (o svista), comunque interessante credo:
https://www.iconur.it/storia-degli-uomini/27-perche-il-sud-e-rimasto-indietro
Mariagrazia l’articolo da te postato “Perché il Sud è rimasto indietro” di Vincenzo Medde, prende come riferimento un libro di Emanuele Felice, avente lo stesso titolo, libro che ho letto e che, a mio avviso, appartenete al filone “colpevolista”, e che fra l’altro si propone di confutare la diverse conclusioni di Pino Aprile in “Terroni”.
L’autore dell’articolo, citando Felice, conclude: “Chi ha soffocato il Mezzogiorno sono state le sue stesse classi dirigenti – una minoranza privilegiata di meridionali – che hanno orientato le risorse verso la rendita più che verso gli usi produttivi…”. Ma dimentica di citare una seconda causa messa ben in evidenza dal Felice: ossia l’inadeguatezza dello Stato Italiano anch’esso “compromesso(…) con quel gruppo di potere che quel contesto esprimeva (…) prova ne sia che non è riuscito nemmeno a debellare la criminalità organizzata”. E cita Paolo Macry: “Il ceto politico nazionale offre alle periferie risorse pubbliche in cambio di consenso (…) un epilogo che dura centocinquant’anni”
Comunque, c’è un grafico eloquentissimo che mostra come il divario tra Nord e Sud, abbastanza contenuto al momento della nascita del Regno d’Italia, si sia divaricato spaventosamente fino al 1951 e nelle misura in cui l’uno cresce, l’altro diminuisce: in ottanta anni il reddito pro capite per il Nord Ovest (fatto 100 quello dell’Italia) è aumentato da 110 a 155, per il Sud e le Isole è diminuito con discesa continua da 90 a 60.
Poi il gap si riduce un po’ fino al 1971, durante il miracolo economico, per mantenersi pressoché costante in seguito, attestandosi a 120 per il Nord-Ovest e a 70 per il Sud le isole. Il gap che nel 1871 era di solo 20, raggiunge un massimo di 90 nel 1951 e si attesta a 50 nel 2009. Sempre molto maggiore di quello iniziale.
Il Felice riconosce molteplici cause di cui è responsabile lo Stato che hanno penalizzato il Sud, ma poi le attenua o le capovolge:
una per tutte, egli sostiene che “dalla Grande Guerra all’inizio degli anni Cinquanta – il divario si amplia notevolmente, favorito prima dalla concentrazione dei finanziamenti pubblici e privati nelle industrie del Triangolo, impegnate nella produzione di materiale bellico, e poi dai salvataggi del dopoguerra di quelle stesse industrie nella fase di riconversione alle produzioni di pace. Le politiche industriali autarchiche del fascismo favoriscono le produzioni industriali del Nord-Ovest,
Ma conclude: nei quattro decenni che intercorrono tra il 1911 e il 1951 il Sud Italia si è mostrato del tutto incapace di generare un qualsiasi sviluppo industriale autonomo, Certo , ci vuole coraggio ad affermare ciò.
Con la Repubblica c’è un tentativo di risollevare le sorti del Sud con investimenti produttivi tramite la Cassa per il Mezzogiorno, che finanzia un esteso programma di infrastrutture e di investimenti industriali nei settori della siderurgia, della meccanica e della chimica.
Senonché questa iniziativa per certi versi sbagliata (vengono sottratte al turismo intere zone che si trasformano in aree mortifere) viene stroncata dalla crisi petrolifera del 1973-74. “Vengono colpiti più pesantemente proprio quei settori che per un ventennio avevano trainato lo sviluppo del Sud; il Mezzogiorno dovette affrontare anche i problemi di questa industrializzazione interrotta e incompiuta.”
Poi la Cassa per il Mezzogiorno diviene solo assistenzialismo nell’ottica del voto di scambio, viene chiusa mentre si accantonano le grandi opere e perfino quelle infrastrutture necessarie per qualsiasi sviluppo.
Risposta
temo che ci siano troppi interessi che impediscano che la sempre irrisolta questione meridionale venga risolta, in tutto o in parte. Comunque quell’articolo a quanto pare soffiava ancora sulle divisioni e quindi hai fatto bene a sconfessarlo. Ciò non toglie che sia giusto leggere anche opinioni diverse ed in merito a questa questione ce ne sono di tutti i tipi.
Bisognerebbe uscire dal campo delle idee ed entrare nel concreto. Non so però quanto sia utopistico con il governo attuale e non so quanto anche con i prossimi. C’è solo da sperare che migliori la situazione in tutta Italia sud compreso naturalmente.