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A me questa storia della bagarre scatenata dalla frase della vicepreside di un liceo di Roma, puzza un po’ di tempesta in un bicchiere d’acqua.
Leggo che in tanti si sono scatenati contro la professoressa che avrebbe detto una frase del tipo “ai professori potrebbe cadere l’occhio”, alle ragazze che si presentano a scuola con minigonne vertiginose, ma non sembra essere proprio andata cosi.
Sembra che lei abbia parlato di abbigliamento consono ed adeguato ad una classe, di decoro e di eventuale “distrazione” nel caso si prendano atteggiamenti sguaiati e abbigliamento decisamente sbracato.
Non credo abbia detto niente di cosi trascendentale e neppure sbagliato.
Presentarsi a scuola in minigonna, mini shorts o calzoncini da boxer (per i ragazzi), non mi pare che sia un abbigliamento adatto per frequentare la scuola ma per altre occasioni.
Non c’entrano niente le presunte accuse ai docenti maschi di “buttare l’occhio” o nemmeno le prediche delle influencer strapremiate che imperversano ovunque con le loro lezioni di vita e che parlano di offesa alla libertà delle donne di vestirsi come gli pare.
Nessuno gli vuole mettere un’uniforme, ma ci sono anche dei limiti e sono relativi al buon gusto, al relazionarsi con gli altri, sia da parte femminile che maschile. O forse, in nome della libertà possiamo pensare di lasciare che entrino in classe a petto nudo per mostrare i tatuaggi? Questo per i maschi ma vale anche per le ragazze che a scuola devono imparare anche a stare al mondo e il decoro della persona consapevole di stare in un gruppo che deve rispettare le regole minime della convivenza. E la scuola sta diventando sempre di più un “non luogo” dove tutto è permesso in nome di una presunta libertà che poi si traduce in maleducazione, esibizionismo, strafottenza e a volte persino violenza.
Non serve mettersi il saio ma nemmeno presentarsi a scuola in mutande.
La (finta) battaglia per la difesa dei diritti della donna che impazza sui social in queste ore, a mio avviso è ridicola e non fa bene alla causa che si vuole sostenere.
Le donne, nel corso della vita, devono affrontare problemi molto seri. E’ bene che imparino a gestire la propria identità senza lasciarsi incantare dalle sirene di un libertarismo che nulla a che vedere con la lotta contro le discriminazioni nei loro riguardi e con le quali si troveranno a dover combattere.
Non scherziamo.
Libertà non significa disconoscere le norme che una comunità civile si è data, ma saperle rispettare senza cadere nell’accesso di restrizione del gusto o della fantasia, insomma di ciò che è espressione positiva della personalità. Vame la norma “Est modus in rebus”
Così il vestire, simbolo del nostro essere sociale, deve essere adatto all’ambiente e all’occasione.
Si ha libertà di vestire casual, sportivo, elegante, in abito scuro, sfarzoso, semplice, in costume da bagno, in maschera, in abito da sposa, perfino non vestirsi, a secondo del luogo che si frequenta e le usanze della comunità.
A scuola, niente minigonna, o shorts, ma neppure uniforme o divisa. Le convenzioni comunque variano coi tempi, ma ogni tempo ha le sue.
Per me ognuno può vestirsi come vuole ma a scuola non ci si va vestiti come se si andasse al mare, allora anche gli insegnanti dovrebbero andare a scuola smanicati e minigonnate con la scusa che fa caldo. La battaglia finta femminista non piace neppure a me è vero che abbiamo troppi altri problemi più importanti.