Tutti insieme?
certo, bello lo slogan che sentiamo ormai da mesi. Deve andare bene per oggi che sarebbe la festa del Lavoro? Ma poi? Domani? Ritorniamo allo sfruttamento? Ai contratti atipici e antipatici? A lavoro super precarizzato, mal o per niente pagato, alle finte partite Iva ai compromessi per far lavorare le donne che non devono dare problemi e devono firmare dimissioni in bianco, anche se adesso “possono” lavorare fino allo stremo con la pancia da dieci mesi.
Oggi si festeggia la morte del lavoro e forse anche quella di tanti lavoratori o ex tali che non hanno ancora ricevuto niente dal governo che blatera di miliardi ma con calma, non vi ammassate, state indietro, a casa , mettetevi le maschere e respirate piano che l’aria costa …chiedete e vi sarà dato…ma perdinci un po’ di pazienza, non casca il mondo e prudenza, prudenza prima di tutto, porcaccio Giuda (cit), non facciamo assembramenti.
La Costituzione dice tante cose che in questo periodo sono state dimenticate o volutamente ignorate da chi ci ha governato.
Volutamente. Non si può andare per il sottile con un virus in casa. Togliere la libertà? Ma quando mai? Concedere poco, questo si, fino a che l’aria non tornerà libera da agenti infettanti…ma poi.”Concedere” ancora meno per non perdere l’abitudine.
Quando finalmente potremo respirare qualcuno dovrà spiegare tante cose.
E visto che oggi sarebbe una festa, chi lo spiega ai lavoratori precari dei centri commerciali, con contratto a termine quelli che in questi mesi hanno rischiato ogni giorno la vita, che ora, il tempo è scaduto Big Ben ha detto stop e si cambia? A loro o anche a quelli di altri settori,Sanità in testa?
Altro giro, altra corsa. Non si festeggia proprio un bel niente, se non l’ipocrisia) fino a che qualcuno lassù non si mette in testa che deve lavorare per i lavoratori e quelli che vorrebbero diventarlo e non solo per chi sfrutta lo Stato e sfrutta i lavoratori sfruttati da lui e dallo stato.
Dove sono i famosi Centri per l’Impiego di cui si riempivano le bocche (non più affamate perché un lavoro loro lo hanno trovato) i parlamentari grillini?
E che ci sono milioni di lavoratori o ex tali che aspettano i soldi per mangiare; uno stipendio, o la cassa integrazione o un sussidio perché non sanno a che santo votarsi lo hanno presente i nostri governati, soprattutto oggi?
San Conte non fa miracoli certo e prima di lui in tanti hanno mangiato sulle promesse e hanno fatto solo disastri e macelleria sociale.
Adesso sarebbe ora di approfittare di questa tragedia per dire finalmente Basta!
O non saranno i soliti penosi discorsetti con le mascherine a mettere fine anche all’ultima speranza?
Il lavoro è bella cosa
chi ce l’ha non si riposa.
Mentre invece il disperato
che lo cerca e non lo trova
può campar d’aria e se campa
si riposa cosi tanto che
alla fin tanto si stanca.
Da qualche mese sembra che il tempo sia fermato, eppure mai come oggi scorre velocemente. Ieri, quando mi ero assopito, era appena gennaio, oggi mi risveglio ed è già maggio.
Mai come in questo periodo si comprende come la percezione del tempo sia relativa.
Accendi la televisione, o leggi i giornali, o parli al telefono con parenti e amici, e il discorso è sempre quello, si parla di contagi, in aumento o in diminuzione, di numero di tamponi effettuati, di ricoveri in terapia intensiva, di decessi, soprattutto di anziani, di medici che muoiono, di come il fenomeno si evolva in Italia, di come il male di diffonda nel mondo, di come i vari Stati cerchino di arginarlo, di “lockdown” e di “distanza sociale” da tenere onde evitare il contagi, di mascherine e guanti, di truffe perpetrate profittando dell’emergenza, di istanze per la ripresa, di gente che non lavora e rischia la povertà, di cauta ripresa delle attività, e di aiuti governativi ed europei, annunciati ma ancora non pervenuti.
Dati che riducono tutto il fenomeno sociale ad un calcolo numerico. Tutto ciò con ripetitività monotona che dà perfettamente il senso del tempo rallentato o addirittura cristallizzato.
Eppure quando tutto finirà ci ritroveremo tutti improvvisamente più anziani. Stiamo vivendo giorni che lasciano il segno nell’animo, chi è più giovane li ricorderà come si ricorda una svolta decisiva nella vita, chi è meno giovane se l’è visti sottratti per sempre al resto di vita che man mano si assottiglia.
Ecco come gli eventi, possono modificare lo scorrere del fiume della vita e farlo deviare da un corso preciso, sicuro, che ci pareva ben tracciato dalla volontà e dalla saggezza umana, dall’esperienza e dalla scienza, dal progresso. E invece scopriamo quante certezze siano legate ad un filo sottile.
Buon primo maggio, che sia di auspicio perché presto si ritorni “al lavoro usato”, e il tempo seguiti a scorrere col ritmo di sempre.
Risposta
Bello questo tuo racconto dell’attuale è proprio così il virus non fa solo ammalare e morire ma ci ruba ogni giorno un po’ della nostra vita che è preziosa.
Però…un pisolino di tre mesi, niente male…
In quanto al lavoro ho una mia opinione:
Dice la carta Costituzionale:
lavorare vuol dir democrazia,
è vanto, è gloria, è fede nazionale
vale per me, per te e… per mia zia,
vale per tutti senza un’eccezione,
la sua mancanza è cosa brutta e ria.
Chi mai non n’ ha avuto percezione?
Ma quando il portafoglio occorre aprire,
nascono dubbi e muta l’intenzione,
svicola ognun: “Signor, lassatem’ire!!!”
Risposta
carina, ma…non mi è chiarissimo per aprire il portafoglio s’intende forse solidarietà? O per i governi che non sganciano quando ci sarebbe bisogno di sostenere chi non sta lavorando per cause di forza maggiore?
Intendevo i signori del Governo, gli unici che potrebbero dare una mano d’aiuto per il lavoro (che poi, sempre soldi nostri sarebbero, ovvero di chi paga le tasse).
Dimenticavo: buon primo maggio, sono ancora in tempo?
Risposta
Certo, ma diciamo che è un primo maggio molto strano comunque speriamo sia un mese di svolta vera e che tutto questo dolore e ansia si affievoliscano ma non potremo mai dimenticare né dovremmo mai dimenticare quanto è successo e credo che dovremmo fare tesoro di questo periodo per cambiare molte cose che non vanno. E poi maggio è un mese bellissimo che io amo molto, quindi buon primo del mese a lei e a tutti e speriamo che sia un buon mese per tutti soprattutto per chi soffre e non ha lavoro.
L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro.
Una frase ovvia, ma che contiene tante verità.
Intanto, direi che esclude che il nostro Stato si possa fondare su rendite finanziarie.
Una volta c’erano i proprietari terrieri che non lavoravano, mettevano il capitale, e i loro contadini lavoravano. Oggi i “possidenti” sono pochi, ma, in compenso, sono proliferati i finanzieri speculatori che fanno i soldi con i soldi. E alla fine contano più loro degli imprenditori che mandano avanti le fabbriche.
La globalizzazione e il consumismo hanno prodotto effetti devastanti.
Una volta un giovane poteva mettere su una falegnameria, una sarrtoria o un laboratorio di calzolaio nel suo paesello e probabilmente i clienti sarebbero arrivati e gli avrebbero permesso di mandare avanti una famiglia lavorando.
Oggi tutti questi lavori sono scomparsi in quanto fuori mercato.
Costa meno comprare un oggetto nuovo che farlo riparare. Impraticabile farsi fare le cose su misura.
Con la concorrenza dei Paesi a basso reddito o con condizioni di lavoro precarie (Cina, Vietnam, Pakistan ….) siamo inondati di prodotti, spesso di scarsa qualità, ma a prezzo bassissimo.
Gli accordi WTO hanno eliminato i dazi e favorito gli acquisti sul mercato internazionale.
Le restrizioni e le tutele eccessive imposte per decenni agli imprenditori dai sindacati hanno ridotto il rendimento lavorativo creato un clima ostile e poco collaborativo, e scoraggiato gli imprenditori a produrre in Italia, determinando massicce delocalizzazioni.
Un altro fenomeno importante che è passato sotto silenzio è che i lavoratori hanno perso la buona abitudine di “imparare un mestiere” prima di cercare un lavoro.
Una volta si andava “a bottega” ad imparare e poi ci si presentava ad un imprenditore offrendo la propria professionalità.
Oggi la maggior parte dei lavoratori cominciano a lavorare senza saper lavorare, e scelgono l’attività in base all’offerta più che in base alle proprie attitudini.
Da qui tanti lavoratori che fanno per tutta la vita un lavoro per il quale non erano tagliati.
Ma il problema sociale più grave, secondo me, è stato il progressivo rifiuto del lavoro manuale.
Quello che prima era il lavoro per antonomasia, tanto che in certi dialetti lavorare si dice “faticare”, è diventato una condizione da sfigati, mentre la condizione di lavoro tipica oggi è diventata stare ad una scrivania con un PC davanti.
Ovvio che non possiamo stare tutti a “gestire” il lavoro di altri. Una nazione non si può reggere su un mondo del lavoro concentrato sui “servizi”, o, peggio, sulla finanza.
E se il lavoro manuale produttivo in Italia si riduce, anche per mancanza di lavoratori disponibili, che preferiscono stare disoccupari, aumenta per forza la delocalizzazione e l’importazione di prodotti dall’estero.
Significativa la scoperta che in Italia nessuno più produceva mascherine e autorespiratori.
Significativa la scoperta che molte aziende agricole si reggevano su manodopera stagionale pendolare, che ora è venuta meno, e significativo che, nonostante non arrivino a fine mese, tanti disoccupati italiani preferiscano aspettare l’improbabile elemosina dello Stato piuttosto che andare a sporcarsi la mani nei campi.
Quanto alla precarietà non credo che sia una perversione. Credo che la perversione sia il lavoro fisso a vita, voluto da sempre dai sindacati italiani.
Il lavoro è come la casa. Non è necessario comprarla e si può stare anche in affitto. E il mercato degli affitti non può essere bloccato, altrimenti, con il blocco degli sfratti, si crea una situazione perversa di proprietari che riscuotono affitti irrisori da inquilini fortunati e inquilini disposti a pagare il giusto affitto che non trovano casa.
E il famigerato articolo 18, che non era scritto male, ma è stato sempre male interpretato dalla magistratura, ha prodotto la perversione corrispondente nel mercato del lavoro.
Lavoratori fannnulloni tutelati a vita e lavoratori volenterosi costretti ad accontentarsi di lavori precari.
Probabilmente, ci vorrebbe il giusto mezzo, difficile da trovare. E comunque qualsiasi nuovo assetto del mondo del lavoro non risolverà la situazione, perché chiuderebbe la stalla dopo che troppi buoi sono scappati.
Tante riflessioni da mettere a frutto per ripensare il momdo del dopo epidemia, che certamente non sarà più lo stesso.
Risposta
sono d’accordo che il mondo non sarà più lo stesso anche e tanti, ho letto, si sono affrettati a dire che è solo una frase banale.
Ma penso anche che non lo debba essere, sono cambiate le condizioni perché tutto continui come prima.
Su alcuni punti sono d’accordo con lei su altri molto meno.
Scelgo per esempio il lavoro precario.
IL posto fisso o perlomeno che abbia una certa assicurazione di durare, non è sbagliato. La precarietà diffusa e e assurta a regime è pessima perché costringe le persone a pesare sullo stato e a diventare da popolo sovrano a suddito.
L’articolo 18 non era causa di nulla, chi voleva licenziare aveva mille modi per farlo e comunque i casi di reintegro sono sempre stati molto poche i e non appena reintegrato il lavoratore si ritrovava a doversi licenziare tanto era il mobbing che subiva.
Ho sempre pensato che la globalizzazione avrebbe fatto disastri e cosi si sta verificando ma i più ferventi fautori di essa si guarderanno bene dall’ammetterlo.
Molte cose speriamo possano cambiare in meglio. Temo però che questa consapevolezza sia ancora di troppo pochi perché si possa fare strada una cultura diversa da quella dello sfruttamento dei più deboli e del depauperamento di risorse preziose quali i nostri giovani che sinora sono stati costretti ad emigrare.
Oggi i percettori di RdC potrebbero essere costretti ad andare a zappare i campi per decreto visto che manca “forza lavoro” e non si vuole dare visibilità ai “clandestini” che hanno lavorato e faticato quasi per niente e in condizioni disumane.
Vedremo in quanti accetteranno dopo che era stato loro detto che avrebbero ottenuto due o tre proposte di lavoro al mese dai famosi Centri d’Impiego.
Beh, certo raccogliere patate è un lavoro di tutto rispetto ma se hai studiato venti anni ti aspetteresti di mettere a frutto quello che hai imparato.
Ecco che l’economia circolare sta producendo effetti magici, saranno in molti a sfregarsi le mani.
Riguardo all’articolo 18 la mia esperienza è opposta.
Tutti i lavoratori licenziati per scarso rendimento, assenze eccessive o incapacità di svolgere il proprio lavoro di cui ho avuto notizia sono stati reintegrati senza eccezioni. Unici non reintegrati quelli che si è dimostrato avevano rubato, o che erano stati sorpresi a svolgere un altro lavoro durante la malattia (giusta causa oggettiva).
Quanto al mobbing, quel tipo di lavoratori se ne ridono. Quando uno si è autoconvinto che ha il diritto di percepire uno stipendio senza corrispondere una prestazione lavorarativa, non è facile metterlo a disagio.
Gli viene una faccia come il ……. diciamo bronzo.
Il fatto che la sicurezza nella vita debba dipendere da un contratto di lavoro a vita è una semplificazione eccessiva, determinata anche dal burocratismo delle banche.
Se il mercato del lavoro fosse aperto e con meno vincoli, sarebbe il datore di lavoro a temere che i suoi dipendenti migliori se ne vadano in altre aziende o a lavorare in proprio (e gli offrirebbe aumenti di stipendio per tratenerli).
E, d’altro canto, un lavoratore in gamba non avrebbe timore di esere licenziato se sapesse che un nuovo lavoro lo trova quando vuole.
Purtroppo, ci sono vincoli per le assunzioni che irrigidiscono il mercato, e il fatto stesso che le aziende non possano licenziare chi rende poco riduce le possibilità di assumere quelli bravi.
Il parallelo con le case in affitto regge. Se io mi posso permettere di pagare un affitto a prezzi di mercato e il mercato offre case da affittare, lo sfratto non è un dramma. Vado presso un’agenzia e trovo un’altra casa. Ci rimetto solo le spese di trasloco e il fastidio dell’adattamento.
Risposta
i reintegrati erano evidentemente stati licenziati senza giusta causa. I lavoratori licenziati con giusta causa perdono la causa, giustamente.
Il mercato del lavoro ha funzionato benissimo con le regole che vigevano fino a circa metà degli anni ’80, poi …il disastro, da Berlusconi in poi, primi ’90 etc,etc.(ne abbiamo già parlato). Il vero problema ora è la produttività e i troppi lavori atipici. Il discorso sarebbe lungo e complesso.
Lenzini, lei avrà anche ragione dal suo punto di vista su molte cose, ma, se discutiamo. io la vedo diversamente da lei. Oppure possiamo accettare di avere opinioni distanti e andare oltre.Comunque la discussione è sempre interessante purchè non ci impuntiamo troppo sulle rispettive posizioni. IO mi sforzerò, lei non so.
Non è una questione di impuntarsi. Io la questione dei licenziamenti l’ho vissuta molto da vicino quando stavo in azienda.
La storia è andata così.
Prima della famosa legge soprannominata “statuto dei lavoratori” il datore di lavoro poteva licenziare un dipendente senza dover spiegare a nessuno il perché. Lo poteva fare anche per semplice antipatia o per divergenze politiche.
Il lavoratore poteva far causa al datore di lavoro e il giudice decideva in base alle risultanze del processo, ma mancava una base normativa a cui riferirsi. Da qui la decisione di scrivere in quella legge che un dipendente poteva essere licenziato solo per “giusta causa.
Cosa si intendeva con questa definizione sibillina?
Come minimo, si intendeva che il datore di lavoro, prima di licenziare un dipendente, doveva svolgere un’istruttoria sul suo operato e mettere per scritto il motivo per cui aveva deciso di licenziarlo.
Sulla base di queste motivazioni un giudice, in caso di ricorso, avrebbe valutato se si trattava o meno di giusta causa.
Il problema non esisteva quando il datore di lavoro aveva le prove di una violazione grave del contratto di lavoro. Per esempio, come dicevo sopra, se il dipendente si era appropriato di beni dell’azienda, oppure era stato sorpreso a lavorare da un’altra parte durante un periodo di malattia.
A parte queste motivazioni oggettive, che il datore di lavoro poteva produrre in casi rari, la maggior parte dei licenziamenti erano motivati da scarso rendimento o da comportamento antiaziendale.
In questi casi le motivazioni non erano oggettive, ma erano prodotte dal datore di lavoro e dagli eventuali capi intermedi che stavano tra lui e quel dipendente.
Ricordo un caso seguito da un mio amico che lavorava a Viterbo. La persona licenziata non era un lavoratore di basso profilo, ma un quadro, che aveva una decina di collaboratori. Le sue colpe erano di trascurare il lavoro, non indirizzare correttamente i collaboratori, dando indicazioni spesso contrastanti con le linee guida aziendali, non controllare il loro operato, non rispettare mai i termini di consegna di un lavoro assegnatogli, mandare sostanzialmente a quel paese il suo capo quando gli contestava le sue mancanze.
In sostanza, era venuto a mancare il rapporto di fiducia con l’azienda.
Il mio collega annotò meticoloamente tutto l’operato del suo dipendente per oltre 6 mesi, con date e numeri, specificando e verbalizzando i colloqui che aveva avuto con lui per correggerlo.
Il dipendente, in giudizio, sostenne semplicemente che il capo si era inventato tutto e non c’era niente di vero.
Il giudice, trovandosi di fronte due versioni opposte e nessun elemento oggettivo, preferì dare ragione al dipendente e reintegrarlo.
E questo è stato il copione di tutti gli altri tentativi di licenziamento di cui ho avuto notizia.
La legge era scritta in modo vago, senza specificare cosa si doveva intendere per “giusta causa”, e i giudici, quasi unanimemente, la intesero in senso restrittivo: o c’erano prove di fatto, oppure le cause addotte dall’azienda non erano considerate giusta causa.
A seguito di questo, quell’articolo, che, nelle intenzioni del legislatore voleva evitare semplicemente i licenziamenti ingiustificati, divento la legge che vietava i licenziamenti.
Anzi, no, perché in molti casi si sono licenziati molti lavoratori, ma solo se c’era un accordo con i sindacati.
In pratica, i sincacati diventarono gli arbitri dei licenziamenti.
Questa è la storia. L’errore fu di scrivere un articolo in modo non chiaro.
Di conseguenza, i giudici, preferirono coprirsi le spalle e non prendere decisioni difficili, anche perché un giudice non ha la competenza per valutare la gravità delle inadempienze di un lavoratore nell’ambito di un’attività che lui non conosce.
I sindacati hanno approfittato di questo vuoto legislativo per assumere un ruolo di potere.
Tuttto molto ragionevole e, secondo me, credibile.
Risposta
lei ha le sue esperienze e i suoi punti di vista e li esprime entrando anche in particolari per meglio avvalorare le sue tesi.
Dal suo punto di vista vede le situazioni che ha vissuto e le descrive tirando le sue valutazioni e conclusioni. Ma sono le sue.
I magistrati applicano la legge quella sul licenziamento per giusta causa ha presupposti molto precisi, certo poi ogni giudice applica la massima aurea in dubio pro reo, Lei, da come si esprime, ma posso sbagliare, sarebbe per il contrario. Ma non funziona cosi, mi dispiace.
Ps: chiedo, ancora una volta a lei e a chi volesse commentare di sintetizzare e limitare, per quanto possibile la lunghezza dei commenti, grazie.
OK. Ricevuto. Comunque, il fatto che di queste cose si occupi un giudice e che lei stessa usi terminologie giuridiche indica che la questione è mal posta.
Non si tratta di punire un “reo” come lo chiama lei, ma di risolvere un rapporto deteriorato, che, spesso, sarebbe interesse di entrambe le parti risolvere.
Anche per un lavorartore che i colleghi disprezzano e considerano un parassita che prende lo stipendio come loro senza lavorare, la vita non è piacevole.
Sarebbe come se, in caso di richiesta di separazione o divorzio, il giudice chiedesse prove oggettive, le valutasse, e decidesse, se non lo convincono, di obbligare i coniugi a restare sposati a tempo indeterminato.
Il lavoro si basa su un rapporto di fiducia. Il datore di lavoro deve creare le condizioni per cui il lavoratore sia organizzato nel suo lavoro e tutelato, e gli deve pagare regolarmente stipendio e contributi.
Il lavoratore, in cambio di questo, deve dare il massimo contributo che è in grado di dare alla produzione, attraverso presenza, disponibilità, impegno per apprendere, collaborazione e trasparenza.
In sostanza, il lavoratore deve essere contento di lavorare per quell’azienda e il datore di lavoro deve essere contento di averlo con sé.
Non gli si chiede di “autosfruttarsi”, ma non è neppure corretto che si autolimiti e dia meno di quello che potrebbe facilmente dare e abbia sempre in bocca lo slogan “questo non mi compete”.
Altrimenti il rapporto di fiducia si esaurisce e, come in un matrimonio, il giudice ha il compito di definire i termini della separazione o del divorzio, ma non dovrebbe avere il potere di impedirlo. Se un rapporto è deteriorato se ne prende atto e si gestisce la sua risoluzione in termini economici.
Risposta
cioè lei paragona un licenziamento ad un divorzio? Spero che stia scherzando.
Le sue considerazioni sul rapporto di fiducia tra lavoratore e datore di lavoro sono persino ovvie non tiene conto però che deve essere basata su reciprocità e lei mi pare di capire che vede le cose da un solo punto di vista. L’altro lo considera perfetto a prescindere. Il problema è qui.
Un datore di lavoro ha dei motivi sanciti dalla legge per licenziare e sono molti ed articolati, al di fuori di questi non può farlo e se lo fa ne subisce le conseguenze. Fa parte dei rischi d’impresa. E con questo penso che entrambi abbiamo detto abbastanza sul tema, credo che difficilmente potremo mai arrivare ad un “compromesso”, per questo mi auguro che le discussioni si orienteranno su altri argomenti.
Mi scusi se replico, ma sarò breve.
Secondo me è il rapporto dipendente in sé che andrebbe rivalutato.
Secondo me è improprio o riduttivo vederlo come un rapporto tra una parte forte (il padrone) e una parte debole (il lavoratore) con l’arbitrato della Magistratura.
Questa è una conseguenza perversa dell’irrigidimento del mercato del lavoro e dell’eccessiva normazione.
In un mercato meno ingessato del nostro, non solo un datore di lavoro può decidere che un lavoratore non gli è utile, ma anche il lavoratore può lasciare il suo lavoro perché non lo soddisfa.
E anche questa seconda possibilità, in Italia, è poco praticata, tranne che in comparti innovativi e in crescita.
Infatti, rinunciare ad una tutela è un passo ingrato, e molti preferiscono tenersi un lavoro deludente piuttosto che cambiare.
In fondo, un rapporto di lavoro dipendente non dovrebbe essere qualcosa di molto diverso da un rapporto di lavoro professionale, e 150 anni fa era così.
Io mi rivolgo ad un idraulico se è bravo e fa prezzi onesti.
D’altra parte, un idraulico può rifiutare di lavorare per me se sa per esperienza che sono un rompiscatole o un cattivo pagatore.
Da una mano i soldi e dall’altra una prestazione. Se almeno uno dei due non è soddisfatto, si cambia …
Sarebbe importante, a questo proposito, che un lavoratore, anche cinquantenne, potesse trovare facilmente un altro buon lavoro. Cosa che oggi non è, sempre per eccesso di regole e vincoli che ingessano il mercato.
Viceversa, per un’azienda è abbastanza facile trovare un altro lavoratore, e da qui discende il diverso rapporto di forza che dice lei.
Risposta
non c’è alcun dubbio che il rapporto fiduciario tra i lavoratori e la proprietà è la componente ideale perché un’azienda si sviluppi e prosperi. Su questo sfido chiunque a affermare il contrario.
Lei giustamente fa notare che per un datore di lavoro è più facile assumere che per un lavoratore farsi assumere.
Ma anche questo vale come regola generale ma non è cosi in tutti i campi.
Chi lavora bene, onestamente, in un ambiente sano che valorizza le doti del lavoratore, lo premia se eccelle, se lo tiene caro invece di licenziarlo perché ” si da delle arie” o vuole “mettere becco” o peggio “rimesta coi sindacati”…rimane a lavorare e rende, oppure se trova di meglio cambia e trova chi lo assume. Purtroppo il mercato del lavoro si è deteriorato proprio grazie ai tanti lavori chiamati atipici, alla delocalizzazione che ha prodotto disastri e per chi abusa del lavoratore atipico con la scusa di assumere solo per necessità temporanea ed ha finito col diventare “tipico” per un sacco di motivi che non stiamo ad elencare.
C’è poi la tecnologia che ha soppiantato tante mansioni e c’è anche il paradosso che ci sono lavori manuali che può compiere solo l’uomo che sono in mano alla criminalità organizzata con tutte le conseguenze del caso.
Il mercato del lavoro è tutt’altro che ingessato direi che è fin troppo “snodabile” ed è proprio per questo che va cosi male e lascia fuori le donne o le relega agli ultimi posti con la conseguenza di svilirlo e privarlo di risorse importanti. E potremmo continuare per un bel pezzo.
Questa mattina, tra le tante (terrificanti) notizie dal mondo sul solito soggetto, ho trovato questo articoletto che mi pare interessante. :
https://www.theguardian.com/commentisfree/2020/may/10/working-with-women-makes-the-world-a-better-place
Credo che qui siano tutti in grado di leggerlo ma più tardi ne farò una sommaria traduzione.
Già il titolo dice molto:
“Lavorare con le donne rende il mondo un posto migliore”. Scusate se vi sembra poco.