Un the… al bar

Questo racconto l’ho scritto quando si poteva ancora frequentare i locali pubblici…sembra un secolo fa….mah prima o poi si ritornerà a farlo ma magari con qualche accortezza in più relativamente all’igiene che ultimamente lasciava un po’ a desiderare.

 

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Prendo un the al gelsomino e ci metto un tocchetto di zenzero. The verde, naturalmente. Sono quei piccoli piaceri della vita. Si, piccoli piaceri, poi ci sono quelli grandi, ma quelli arrivano se arrivano e quando arrivano sei quasi sempre troppo occupato per accorgertene. Cioè stai vivendo e non ti chiedi se sei felice.

E non te lo chiedi perché non sapresti cosa risponderti.

Dunque, dicevo, che il the verde al gelsomino mi piace e ne prendo tre tazze canoniche al giorno.

Ma quel giorno, un giorno di tanti anni fa, mi trovavo seduta al bar del centro. In piazza del paese, una bella piazza, circolare, come deve essere una piazza e con al centro il monumento ai caduti dell’ultima guerra o meglio ai Martiri della Resistenza.

E’ un bel monumento, raffigura un uomo con le mani alzate unite e legate da una corda, le mani si allungano al cielo e l’espressione dell’uomo è molto sofferente, sembra un Cristo in croce.

Una lapide, accanto, con alcuni versi di una poesia che parla del sacrificio dei partigiani e dell’importanza della loro lotta. Una scritta dorata, in rilievo che molti leggono distrattamente senza neppure capirne il senso.

La poesia è una grande cosa. Dice tante cose, piccole o grandi, con poche parole. Lo so i poeti in genere sono antipatici. Pretendono che tutti li stiano ad ascoltare, oppure si tengono i loro versi chiusi in un cassetto e ci rimuginano su senza avere il coraggio di farli leggere a nessuno. Ci sono gli spudorati e i timidi. Ma la poesia deve essere un po’ spudorata altrimenti non passa, non si fa strada, viene risucchiata indietro. Oppure se è timida devono passare secoli prima che qualcuno la prenda sul serio e magari, con qualche sforzo, l’apprezzi. Ma è la forma d’espressione che più ci fa partecipi dell’Universo, assieme alla pittura che, però, a volte, è prepotente e persino spudorata.

 

Mi trovavo li seduta e stavo sorseggiando il mio the. Mi piace stare da sola. A volte  più che in compagnia. Ma, certo, dipende molto anche dalla compagnia.

Passa uno. Si ferma, mi guarda,sembra riconoscermi.

“Scusa, ma tu…non sei…?. “Ma, scusi, non ricordo, …”

E penso che le cercano proprio tutte per attaccare bottone. Poi lo guardo meglio: alto, capelli neri appena spolverati di fili argentati, buttati all’indietro, una fossetta sul mento, naso aquilino, occhi verdi, magro  ma non troppo, ben vestito. Quasi, quasi mi faccio tornare la memoria. Ma proprio non me lo ricordo.

Poi, d’un tratto, sapete come succede nei film? Ho una sorta di flash-back e mi torna in mente tutto. Ma proprio tutto.

Quell’estate a Misurina. Ecco dove l’ho conosciuto. Ma come è cambiato! Me lo ricordavo più grasso e con qualche brufoletto. Ma quanti anni aveva? Forse 17 o 18…mah. E anch’io, 16 o 15. Adolescenti, insomma.  Quello che mi ricordo più di tutto sono le nuotate nel lago. Freddo, gelato. I tuffi dal pontile e le gite in barca. Si, credo di essere stata proprio felice in quei momenti.

Ma non è mai successo niente tra di noi, alla fin fine. Solo che lui mi ha tampinato da subito. Ma aveva già la ragazza e faceva parte della compagnia. Lo spudorato. Ma un giorno me lo disse che se lo avessi voluto era disposto a lasciarla anche subito.

Non ricordo come andò, ma a me non piaceva troppo e neppure mi piaceva troppo l’dea di essere una “sfascia famiglie”. Si fa per dire, naturalmente. E poi ricordo che mi divertivo molto  a nuotare e anche a ballare e non mi andava di legarmi a nessuno

Guardavo dentro la tazza, ora. Il mio the stava diventando freddo.

“Ma tu che cosa fai da queste parti”?

“Sono un finanziere, mi hanno trasferito qui da qualche giorno”.

“Ah, si? E ti piace qui”? Domanda sciocca.

“Bellissimo, si, mi piace molto”.

Mi chiede se abito da quelle parti, rispondo che no, cioè, si, no, sono di passaggio. Mamma mia, questa è pazza, deve aver pensato.

Mi sentivo a disagio, improvvisamente, la vita, tanta, era passata, cosa c’entrava, ora, questo con me? Nulla. E da dove era sbucato? Era durata anche troppo quella strana conversazione. Forse era meglio se mi alzavo e me ne andavo subito, anzi, di corsa. E lo feci lasciandolo con un’espressione un po’ perplessa.

Perché il the era ormai freddo e a me piace caldo. Anche d’estate. E’ un piacere piccolo ma intenso e delicato e a lasciarlo raffreddare perde un poco o tutta della sua piccola, grande magia.

 

 

Meno cuochi e più medici

Fino ad un  mese fa sembrava che l’Italia avesse bisogno solo di cuochi e di camerieri, impazzivano tutti per programmi come Masterchef e la professione volava negli indici di preferenza tra i giovani.

Ora si cercano medici, infermieri come le pepite d’oro, si è scoperto d’improvviso che sono indispensabili, come se finora non fossero stati trattati quasi come dei “rompiscatole”, numero chiuso nelle facoltà, nessun rimpiazzo di chi andava in pensione, sempre più lavoro e turni massacranti per quelli che rimanevano in servizio e stipendi in diminuzione…prendere o lasciare. Per non parlare delle aggressioni giornaliere che subiscono da parte di scriteriati e delinquenti e si ritrovano indifesi

I medici di famiglia sempre più oberati di incombenze burocratiche e assillati da masse sempre più esigenti e folte di assistiti. E non dimentichiamo i biologi che fanno le analisi col rischio di infettarsi.

Ora si cercano medici e infermieri col lanternino e gli si stenderebbero ponti d’oro.

Ora sono in trincea e si può davvero dire della loro magnifica professione : Il pericolo è il mio mestiere”.

E affrontano tutti i giorni la morte, in questi giorni, perché quella è la professione che si sono scelti e sono davvero ammirevoli e degni di un monumento, se davvero, come tutti speriamo….andràtuttobene, lo dovremo a loro e solo a loro e molte cose, per loro, in questo paese, dovranno cambiare.

Io sono stata salvata per i capelli più di una volta da “angeli” in corsia ai quali sarò per sempre riconoscente e non smetterò mai di ringraziarli.

 

Reinventiamoci la normalità!

Niente sarà come prima, non illudiamoci, questo sarà il nostro 11 settembre.
La politica deciderà quale dovrà essere la nostra vita da questo punto zero in poi.
E non sarà politica democratica. Sarà politica dura.
Non ci sarà concesso tornare alla normalità. Ma quale normalità?
Non esiste la normalità.
Tutto è stato rimescolato, messo sottosopra come quando i ladri entrano di soppiatto in casa e buttano tutto all’aria.
La vista delle nostre cose buttate all’aria rappresenta le nostre certezze saltate in aria anche quelle.
Dovremo reinventarla la normalità perché tutto avrà dimensioni, pesi e misure diversi.
E la politica sarà la misura della normalità che riusciremo, a stento, a recuperare,
a ricucire ma lo strappo è troppo largo e troppo delle nostre” vite normali” se ne è scappato di li.
Tutto quello che sinora ci era sembrato paradossale ci sembrerà normale.
Perché i parametri ai quali eravamo abituati sono saltati. Tutti.
Dovremo reinventarci la vita tutti i giorni e la politica tenterà di farci andare per strade che non vorremo prendere.
E dovremo lottare e ancora lottare per superare le nostre paure, i traumi che questo periodo ci ha lasciato dentro.
Ma forse potrebbe anche essere un nuovo inizio di qualche cosa che non avevamo neppure mai osato sperare.
Potremmo finalmente avere consapevolezza di quanti errori abbiamo commesso e forse capire che la nostra vita merita di più che essere vissuta in maniera “normale”, ma che dovremmo trovare il modo di renderla “eccezionale”.
E allora la normalità sarà vedere finalmente quello che finora abbiamo fatto finta di non vedere.
E che il nemico invisibile ci ha messo brutalmente davanti agli occhi.

Night all around

Night on top of the trees and
under the clouds and night
inside my soul whenever
I look around and it’s dark.

Trees already filled with
green glory of the new
leafs and no sound to be
heard.

Night in my heart and soul
night all around up and down
night in the black old space
of the universe.

The door is not easy
to open as if thousands
of years have passed and
rust had eaten the key.

But I still managed to
get in with night all
about me.

 

 

Questa poesia l’ho scritta due anni fa e non avrei mai pensato che sarebbe stata giusta per questo periodo buio dove sembra “notte tutto intorno”, ma prima o poi troveremo la “chiave” giusta per uscirne.

Il tempo si è fermato

“Che numero hai tu”?

Cosi iniziò quella strana conversazione in quel posto che non saprei come definire. Uno stanzone, piuttosto disadorno. Quasi privo di mobili se non fosse stato per una grande scrivania proprio nel mezzo, qualche seggiolino scrostato appoggiato alla parete di fondo e niente altro, niente quadri o piante o altro che desse l’impressione di un luogo abitato da esseri umani. Un luogo di passaggio, ecco.

“Mi sembra che vadano veloci, non pare anche a te?Come ti chiami”?

“Camilla e tu?” “Io mi chiamo Laura”.

Le due ragazze stavano proprio al centro della stanza, poco distante dalla scrivania. Gli avevano detto di fermarsi li e di aspettare; sarebbero state chiamate quando fosse arrivato il loro momento. C’era un leggero brusio di sottofondo proveniente da un gruppetto di persone che se ne stavano in un angolo della grande stanza, parzialmente nascoste da una sorta di basso paravento con delle scritte che sembravano ideogrammi. Parlottavano a bassa voce tra loro ed avevano tutte un certo non so che di provvisorio, quasi spettrale.

Camilla e Laura avevano un aspetto un po’ trasandato. La prima portava una lunga gonna di velluto e una camicetta a fiori abbottonata fino quasi al collo, scarpe di camoscio basse e una borsa a tracolla a forma di tascapane.

L’altra era vestita con un paio di jeans sdruciti, un maglione rosso a coste col collo alto, un paio di stivali alla caviglia di tipo militare e uno zainetto che sembrava pesarle sulle spalle piuttosto magre. Entrambe avevano un’aria stanca come se non avessero dormito da lungo tempo.

“Tu di che epoca sei?”. “Epoca? Cosa significa, che vuoi dire?” “Si, insomma, il periodo, l’anno,o se preferisci il tuo tempo, chiaro, no”?

“Ah, il tempo. Non saprei a volte mi pare poco che sto qui , a volte mi sembra di esserci sempre stata. E’ strano, sai, mi vengono in mente tante cose ma non capisco se mi sono successe in epoche lontane o poco tempo fa. Qui è tutto cosi diverso da dove stavo prima. Non sento più nessuna emozione. E non mi dispiace, neppure i sentimenti mi pare più di provare. Sai, quelli che ti fanno soffrire, o gioire a seconda dei casi. Qui non li provo è strano. Non saprei se è meglio o peggio. Mah!

L’ultima a parlare è stata la ragazza in jeans, Laura.
“Il tempo è una nozione di difficile interpretazione. Se stiamo sempre a guardare l’orologio notiamo che le lancette girano e che continuano incessantemente e a meno che la batteria dell’orologio non finisca, loro continuano a girare. Ma anche se la batteria finisce e le lancette si fermano, altri orologi continuano a scandire il tempo che continua a trascorrere, tutto va avanti e non si ferma mai. Da quando sono qua e il mio orologio ha smesso di funzionare e se tu noti, qui, di orologi, non ne trovi tanti e quelli che ci sono, sono fermi., il tempo non viene preso in nessuna considerazione qui, ma forse ti sembrerò un po’ matta”. Per Camilla e Laura l’orologio si era fermato ma il tempo aveva continuato lo stesso a passare e loro erano rimaste identiche a quel momento in cui, per loro, si era fermato.

D’un tratto si accendono delle luci rosse in fondo alla stanza in corrispondenza di un numeratore e appare il numero 7 lampeggiante. Nel contempo un voce metallica scandisce le seguenti parole:
“Attenzione , il numero sette si rechi nel vestibolo per ricevere l’attrezzatura, affrettarsi ma senza correre”.
Laura guarda Camilla terrorizzata e esclama: “ Tocca a me, hai visto, hai sentito”? Devo andare, ciao, buona fortuna”. E cosi dicendo si dirige verso il vestibolo che si trova accanto al numeratore col numero che continua a lampeggiare in maniera ansiogena.

La ragazza si avvia verso l’uscita affrettandosi ma con calma e sembra quasi barcollare da non reggersi in piedi.
Camilla la guarda e la vede girarsi poco prima di scomparire dentro un androne scuro e salutarla timidamente con la mano aperta. Le sembra anche di vedere due grosse lacrime scenderle dagli occhi, ma forse è solo suggestione o il riflesso del suo stesso stato d’animo che, d’improvviso ha ripreso a percepire i sentimenti.

Si guarda attorno e si accorge dello sparuto gruppetto al quale ora vorrebbe accodarsi ma sa di non poterlo fare perché lei è in attesa per diversa destinazione. Nello stanzone non ci sono finestre, solo un lucernario sul soffitto dal quale arriva una luce diafana e ora, guardandolo, Camilla ha come l’impressione che entri più luce.

Si gira quasi di scatto verso un punto dal quale sente provenire delle voci e vede un gruppetto di ragazzi che entrano e si piazzano in un angolo. Parlottano tra di loro e sembrano presi dalla loro conversazione. D’un tratto uno di questi ragazzi si stacca dal gruppo, si gira, la guarda e si dirige con passo deciso verso di lei.

“Non mi riconosci”? “No”. “Sono …”.

“Non dirlo”. disse Camilla, mettendogli una mano davanti al viso come per fermarlo.

Camilla rimane un attimo confusa poi sembra che il viso le si illumini e prenda nel contempo un pallore mortale.

“Tu, sei tu veramente…? “Si, mi hanno detto che ti avrei trovata qui ed io non aspettavo che di ritrovarti tu non immagini quanto, ho conosciuto la tua anima tanto tempo fa e l’ho cercata fino a che non l’ho ritrovata in te ed ora tocca a te decidere”.

“Ma io sono…”. E qui Camilla si ferma. Non può rivelare nulla di sé, lo sa che non le è permesso e che se lo facesse rischierebbe di non poter più uscire da li, perciò tace. Si ferma in tempo.

“Lo so, me lo hanno detto, neppure io posso parlare di me, nessuno di noi può dire niente dell’altro, lo so bene. Ma mi hanno detto che se tu vuoi possiamo scendere insieme e ritrovarci laggiù ancora una volta, sempre se tu lo vuoi, lo vuoi? Devi solo dire di si. Non ho fretta posso aspettare tutto il tempo che vuoi ma se ti chiamano dovrai andare e potremmo non incontrarci mai più”.

Il numeratore si spegne. La voce metallica annuncia:
“Abbiamo terminato l’operazione di rientro del numero sette. Il numero 3285 si prepari, non daremo altri avvisi”.

“Tocca a me”. Camilla, ora, con sua stessa sorpresa, era agitata. Il ragazzo le prende la mano e le chiede di nuovo: “Lo vuoi? Devi solo dire si o no”.

Camilla guarda il numeratore che ora riporta il numero 3285 che lampeggiava sempre più in fretta. Era indecisa. Sapeva che se avesse risposto si, si sarebbe legata ancora ad un’anima della quale aveva da tanto tempo dimenticato l’esistenza. Ma ora che le si era ripresentata aveva capito di non essere capace di respingerla, che se l’avesse fatto non avrebbe mai più trovato quella pace che aveva trovato in quel posto che ora stava per lasciare. E poi l’attrazione che provava per quell’apparizione aveva qualche cosa di conosciuto e allo stesso tempo di cosi sconvolgente da farle sentire il sangue scorrere dentro ogni minimo recesso del suo corpo come non sentiva più da un tempo indefinibile.

“Si”. Rispose Camilla.

Di colpo, il soffitto si aprì ed entrò una luce abbacinante, le pareti sparirono e comparve una grande piazza con una fontana in mezzo e molta gente intorno.

La gente ballava, cantava e rideva e sembrava molto felice. Alberi altissimi si intravedevano da lontano e un fiume limpido e scrosciante, scorreva li accanto.

Camilla si ritrovò vestita di un abito a fiori rosa con scarpe e borsa in tinta e un grande cappello con una veletta bianca sugli occhi.
Luca indossava un completo blu, una camicia bianca impeccabile e sorrideva. Un auto li stava aspettando poco lontano. Sarebbero partiti per un lungo viaggio, assieme.

Il racconto finisce qui. Luca e Camilla ora sono consapevoli che hanno davanti un cammino lungo e difficile ma non gli importa. E non sanno che sarà lungo molte vite. E non sanno e non lo possono sapere, che continueranno a perdersi, a ritrovarsi, ad amarsi per un tempo senza tempo che si fermerà per il tempo che servirà alla loro anime di rincontrasi. Ancora.

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Oggi propongo questo raccontino pseudo metafanta …scientifico, cosi, per quei pochi che vorranno leggerlo nel tanto tempo che hanno a disposizione in questi tempi in cui sembra davvero che il tempo stia fermo.

I colori del mondo

Ripropongo questo mio racconto scritto qualche anno fa perché mi rasserena, spero che possa avere lo stesso effetto anche su chi vorrà leggerlo (o rileggerlo).

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Perché il cielo è azzurro e gli alberi sono verdi? Una ragione c’è di sicuro. Gli alberi azzurri e il cielo verde chi li vedrebbe? O non è solo una questione di abitudine?

No, decisamente non è abitudine. Un albero deve essere verde. E il cielo, azzurro. Non ci deve piovere.
Ma che idiozia. Chiedersi il perché dei colori. Eppure me lo sono chiesto questa mattina mentre guardavo il cielo azzurro con qualche sprazzo di bianco di nuvolette inconsistenti, passanti, indecise se fermarsi o liberare lo spazio dalla loro presenza. Stavo facendo colazione. E’ il momento della giornata in cui mi pongo delle domande. Da sempre. Poi, con lo scorrere del tempo, ho altro da fare che chiedermi il perché delle cose, ma la mattina, mi va. Sarà una questione di luce.

E in quanto alle risposte non ne trovo mai nemmeno una. O quasi. Sarà perché le domande sono sempre assurde, sarà perché in realtà non mi interessa rispondermi, preferisco rimanere appesa al’interrogativo che darmi una risposta che non potrebbe essere che altrettanto sciocca quanto la domanda.
Ma forse questa non era poi così sciocca. In fondo i colori mi hanno sempre affascinato e suscitato desiderio di capire perché proprio quel colore e non un altro che corrisponda a quella cosa o ad altra. Insomma li colore delle cose è di per sé una cosa che ha la sua importanza. Volendo.

Mi si obietterà che sono un’ ignorante in materia. Che non conosco la fisica, che dovrei approfondire e scoprirei che c’è una ragione a tutto. E sarebbe una giusta obiezione che avrebbe colto nel segno Ma confesso che, spesso, andare a fondo delle cose mi spaventa. E la bellezza sembra stare solo in superficie. Dico: sembra.

Riflettendoci, però, andare a fondo non è poi cosi difficile. Sarà perché “il fondo” mi da l’idea di buio?. Non c’è tanta luce e i colori non si vedono bene. A fondo, scavando, la luce diventa flebile, i colori perdono vivacità, si attenuano. Ma li, sembra, c’è la risposta a tutte le domande.

Mi diceva mia madre: rifletti, bene, sempre, prima di parlare , vai a fondo dei problemi, non lasciare le cose a metà. Che discorsi!
Ovvio che quando si è piccoli si ha la tendenza a saltare i problemi, non ti va di stare a pensare troppo su come agire e approfondire è una parola che spaventa, sembra un’incombenza,un compito a casa, insomma, un fastidio.
Ma da adulti la cosa cambia. Si ha il dovere di andare a fondo delle cose. Di cercare di capire, di non fermarsi alle apparenze. Si dice.

Ecco, appunto, le apparenze. Sono i colori apparenze? Una rosa mi appare rosa perché quello è il suo colore dato dall’effetto della riflessione della luce sulla sua superficie, ecco e quindi quello che appare rosa è rosa e quello che appare rosso è rosso. Punto e basta.

Eppure quello che intendo è questo: se non mi convince il fatto che il colore delle cose è solo apparenza e gioco di luci e di riflessioni, che cosa ho capito del mondo? O non ho capito?
Ci vorrebbe un esperto in materia e lui mi chiarirebbe i dubbi spiegandomi le leggi dello spettro di luce e dei colori e che le gamme infinite di variazioni di tonalità sono dovute alla riflessione della luce sulle diverse superfici e alle forme e alla composizione dei corpi. E terrebbe una conferenza.

Ma poi? Anche capendo, anche ammesso che arrivi a farmi una ragione delle leggi della fisica, quando vedo un tramonto rosso fuoco e non posso fare a meno di commuovermi a quello spettacolo, chi mi spiega cosa succede dentro l’anima alla vista di quelle pennellate di rosso e rosa di tutte le gradazioni e perché si viene colti quasi da sgomento nell’intuire che dietro a quello spettacolo c’è una mano che lo ha architettato?
Ed allora, a questo punto, tutte le leggi della fisica devono lasciare lo spazio alla metafisica.

Questo è il punto. L’universo dei colori o anche i colori dell’universo sono il tocco finale, la mano di vernice, la pennellata che serve a finire il lavoro e che lo compie, lo ultima, lo abbellisce e completa.
E chi l’ha data? Chi ha costruito l’universo non poteva farlo incolore, doveva farlo colorato perché i colori sono quello che ne fa un capolavoro compiuto. Ecco che la mia domanda dell’ora di colazione questa volta ha un senso e la risposta pure. Almeno per me. Il cielo è azzurro e gli alberi verdi perché l’ Architetto li ha voluti cosi, questo è il Suo Gusto Personale, la sua Idea di Universo, la Perfezione.

E la Perfezione si trova andando a fondo, in superficie non si trova, si deve scavare. Lui, l’Architetto l’ha posta in posti remoti, reconditi, difficili da trovare. Non è a portata di mano. Si dice: non è di” questo” mondo. La Perfezione è Lui. Trovarlo è una cosa difficile . E preferiamo lasciare le cose a metà quando non vogliamo capire, guardiamo la superficie incresparsi ma sotto non ci fidiamo di andare. E’ un processo lungo e difficile e ci si perde seguendolo e a volte non ci si ritrova. E’ un percorso ad ostacoli in cui si inciampa. Ci si rialza e poi si rinciampa. E poi non crediamo. Diciamo che tutto quello che appare è e che tutto quello che è appare. E che se ci fosse, l’Architetto dovrebbe mostrarsi e non dovrebbe esistere il buio e tutto dovrebbe essere a colori e il fondo non dovrebbe essere un luogo dove ci si può anche perdere ma un posto dove il colore rende tutto luminoso e chiaro e la luce in fondo arriva e illumina anche le caverne più nere. Eppure la Perfezione è a portata di mano, a volerla vedere.

Ma un albero è verde e si staglia sull’azzurro e l’azzurro risplende nei suoi contorni e anche il buio può essere apparenza e i colori esserci anche a fondo come in superficie. E’ l’occhio interiore che vede di più al buio che in piena luce, la rosa è di tanti colori e un tramonto di fuoco o un’alba radiosa sul mare appaiono e sono la rappresentazione dell’anima del mondo. E di quella di tutti i colori del mondo. O del mondo a colori, di quello che appare e scompare, che si vede o non si vede. Alla luce o al buio. Sempre… Ma tra un po’ risalgo.

Luca staiacasa

Avrei un appello urgente per il governatore del Veneto Luca Zaia…
Luca perché non te ne stai a casa. Tranquillo, con la settimana Enigmistica, invece che andare in giro a spargere panico?
Io capisco lo stress, capisco tutto,ma un dovere di un buon amministratore, in casi come questo, è anche di tranquillizzare la popolazione.
Invece il governatore mi sembra sull’orlo di una crisi di nervi e vuole tappare i veneti in casa con un editto che nemmeno il “buon” Mussolini si sarebbe mai sentito di emanare.
Chiudere i parchi, mettere le sentinelle ai portoni dei palazzi e costringere i veneti all’isolamento più forzato. Neppure affacciarsi al balcone di casa! Tra poco…
Credo che il governatore abbia bisogno di riposo.
Signor governatore, si metta qualche giorno in ferie. Se ne stia nel bel giardino di casa, passeggi nei suoi vigneti e torni rinfrancato.
Anzi, se ne stia li una quarantina, vedrà che, anche senza i suoi allarmanti proclami….andràtuttobene!

Signor del governo, nessuno escluso….mi riservo di lanciare una class action contro chi , in una situazione già di per sé difficile, sta facendo ammalare la popolazione italiana di… attacchi di panico.
E chiederò anche il rimborso. E non sarà poco.

Forse anzi…senz’altro

Va bene restare a casa, ma, anche volendo, dove andremmo?
Anche la furtiva passeggiata giornaliera intorno all’isolato (isolato veramente) o tra gli alberi del parco condominiale, ormai, mi danno una stretta al cuore.
Mi consolano un poco le bandiere tricolori e i drappi con le scritta; andràtuttobene,
Sembriamo aver ritrovato un minimo di spirito patriotico, ci voleva il carognone per farci sentire italiani.
Insomma tanti predicozzi sulla società aperta, il villaggio globale e compagnia cantante ed eccoli qui tutti i nemici, in fila, con i mitra spianati e noi…al muro.
Beh, parlo delle pareti di casa che, tutto sommato sono anche confortanti.
Sto scoprendo piccole cose che non avevo mai notato. Per esempio una figurina che assomiglia ad una piccola Befana con la scopa in mano e il cappellaccio, in un angolo del salotto, sul pavimento di marmo nero.
Mi sembra un portafortuna, almeno, voglio pensare che sia così.
Eh, si, la grande civiltà occidentale evoluta si scopre quasi inerme, Dove è finita la prosopopea di quelli che ci raccontavano che consumare è bello, viaggiare idem, dove sono i cultori dei liberi mercati che si autoregolano basta crederci?
Ora, fanno un po’ ridere.
Siamo al…laviamoci bene le mani.
Questa crisi ci è arrivata tra capo e collo totalmente inaspettata, ci credevamo potentissimi, liberi e belli…
Finirà, come finirà non si sa ma finirà…riprendo una frase di una commedia del mio amatissimo Gilberto Govi che mi sta aiutando a tenere a bada l’ansia meglio di un ansiolitico..
Ma niente sarà più come prima.
Non mi azzardo a fare previsioni ma ho come l’impressione che la nostra libertà sarà molto ridimensionata e dovremo fare i conti con una crisi economica forse tra le peggiori che abbiamo mai conosciuto.
Forse l’Unione Europea come l’abbiamo conosciuta imploderà (in fondo non è mai esistita) e forse i populisti e i sovranisti avranno la meglio nel pianeta.
Ma ce la faremo.
Forse.

 

P.S.

“Chi combatte contro i mostri deve guardarsi dal diventare anch’egli un mostro, chi guarda l’abisso deve fare attenzione perché l’abisso guarda lui”. Nietzche.
Non so, ho come l’impressione di un disegno che voglia farci fare la fine di Nietzche col cavallo:
https://lamenteemeravigliosa.it/nietzsche-e-il-cavallo/

Il panorama

Tutti passiamo dei momenti difficili che sembrano non finire mai, questo è difficile per tutti. Ognuno di noi ha delle strategie per difendersi dallo stress. A me capita che quando non riesco a dormire e mi rigiro senza riuscire a trovare una posizione, di pensare a dei momenti felici. Stanotte mi è capitato di sognare un tunnel che non finiva mai e ripensandoci mi è venuta in mente una vacanza, in agosto, di tanti anni fa.

Scendevamo in macchina verso il mare, nelle Cinque terre, in Liguria, il panorama mozzafiato, il cielo cristallino, il mare che si intraveda ad ogni curva, di un azzurro incantevole.

Arriviamo ad un semaforo, ma non è un semaforo qualunque ma corredato da un enorme cartellone dove era spiegato come accedere all’ennesimo tunnel. Ma la comprensione di quell’entrata buia, inquietante, era più difficile delle altre che avevamo giù trovato lungo la strada.

Accanto al cartello, un ristorante di pesce da cui usciva un profumo delizioso di frittura. Nell’attesa di capire i turni per accedere a quel tunnel cosi complicato, decidemmo di fermarci a mangiare li. Era un bel ristorante con la terrazza a mare e la vista era impagabile.

Dopo pranzo decidemmo di proseguire e, forse per effetto dell’ottimo pranzetto, ci fu subito chiaro come procedere per entrare nel tunnel. Anche se era spiegato molto male, praticamente per dei geni, alla fine fu chiaro che si entrava ad una data ora per permettere alle auto in senso contrario di uscire da quella che da quel lato era l’entrata.

Devo dire che ricordo ancora che ero piuttosto inquieta. Mi chiedevo cosa poteva succedere se qualcuno dalla parte opposta non avesse capito il messaggio…per tutto il tragitto durato un’eternità, quella domanda mi ha tormentato.

Era strettissimo e le pareti di roccia viva si potevano toccare sporgendo la mano dal finestrino. Inoltre era illuminato solo dai fari delle auto. Un coda continua di auto che procedeva a velocità minima e l’ansia diffusa si percepiva chiaramente.

Non finiva mai, era tortuoso buio e soffocante. Sembrava un brutto sogno che non finiva mai…proprio come i giorni che stiamo vivendo.

La fine del tunnel sembrava non arrivare mai. La luce in fondo non si vedeva, neppure un barlume.

Poi, all’improvviso, quando ormai sentivo mancarmi il respiro, la vidi. L’uscita era li , a pochi metri e diventava sempre più grande e luminosa. E quando, finalmente fuori, la luce abbacinante del sole ritrovato e quel panorama da sogno, mi fecero subito bene e ritrovai d’un tratto la gioia di quella vacanza in quel luogo cosi meraviglioso.

Ecco, il mondo è meraviglioso e lo sarà ancora quando, finalmente, vedremo la luce in fondo a questo che ci sembra un tunnel interminabile  e forse quello che vedremo all’uscita ci sembrerà più bello che mai e magari avremo anche imparato a non dare importanza a cose che non ne hanno e a darla invece a quelle che ne hanno.

Sono poche e forse avremo imparato di più a riconoscerle.

(Ahi)…Dura pietra

Stiam chiusi bene in casa

laviamoci le mani

tenendoci a manina

poi, con la mascherina

facciam la minestrina.

La diamo alla vicina

ma stando alla lontana

porgiamo l’altra guancia

purché sia quella sana.

Son otto giorni che

siam tutti in quarantena

ci han messi per benino

le man dietro alla schiena.

Stiam timorosi e muti

mentre attendiam notizie

se il pan ancor non manca

la clausura stanca

Stanca perché non so

io non ci vedo chiaro.

Aspettiamo Godot

che ci accenda un bel faro?

Sapete che vi dico?

Che io mi con stancata.

Non vorrei che codesti

con questa bella scusa

mi facesser passar

per grezzo diamante

volgare pietra dura…