Questo racconto l’ho scritto quando si poteva ancora frequentare i locali pubblici…sembra un secolo fa….mah prima o poi si ritornerà a farlo ma magari con qualche accortezza in più relativamente all’igiene che ultimamente lasciava un po’ a desiderare.
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Prendo un the al gelsomino e ci metto un tocchetto di zenzero. The verde, naturalmente. Sono quei piccoli piaceri della vita. Si, piccoli piaceri, poi ci sono quelli grandi, ma quelli arrivano se arrivano e quando arrivano sei quasi sempre troppo occupato per accorgertene. Cioè stai vivendo e non ti chiedi se sei felice.
E non te lo chiedi perché non sapresti cosa risponderti.
Dunque, dicevo, che il the verde al gelsomino mi piace e ne prendo tre tazze canoniche al giorno.
Ma quel giorno, un giorno di tanti anni fa, mi trovavo seduta al bar del centro. In piazza del paese, una bella piazza, circolare, come deve essere una piazza e con al centro il monumento ai caduti dell’ultima guerra o meglio ai Martiri della Resistenza.
E’ un bel monumento, raffigura un uomo con le mani alzate unite e legate da una corda, le mani si allungano al cielo e l’espressione dell’uomo è molto sofferente, sembra un Cristo in croce.
Una lapide, accanto, con alcuni versi di una poesia che parla del sacrificio dei partigiani e dell’importanza della loro lotta. Una scritta dorata, in rilievo che molti leggono distrattamente senza neppure capirne il senso.
La poesia è una grande cosa. Dice tante cose, piccole o grandi, con poche parole. Lo so i poeti in genere sono antipatici. Pretendono che tutti li stiano ad ascoltare, oppure si tengono i loro versi chiusi in un cassetto e ci rimuginano su senza avere il coraggio di farli leggere a nessuno. Ci sono gli spudorati e i timidi. Ma la poesia deve essere un po’ spudorata altrimenti non passa, non si fa strada, viene risucchiata indietro. Oppure se è timida devono passare secoli prima che qualcuno la prenda sul serio e magari, con qualche sforzo, l’apprezzi. Ma è la forma d’espressione che più ci fa partecipi dell’Universo, assieme alla pittura che, però, a volte, è prepotente e persino spudorata.
Mi trovavo li seduta e stavo sorseggiando il mio the. Mi piace stare da sola. A volte più che in compagnia. Ma, certo, dipende molto anche dalla compagnia.
Passa uno. Si ferma, mi guarda,sembra riconoscermi.
“Scusa, ma tu…non sei…?. “Ma, scusi, non ricordo, …”
E penso che le cercano proprio tutte per attaccare bottone. Poi lo guardo meglio: alto, capelli neri appena spolverati di fili argentati, buttati all’indietro, una fossetta sul mento, naso aquilino, occhi verdi, magro ma non troppo, ben vestito. Quasi, quasi mi faccio tornare la memoria. Ma proprio non me lo ricordo.
Poi, d’un tratto, sapete come succede nei film? Ho una sorta di flash-back e mi torna in mente tutto. Ma proprio tutto.
Quell’estate a Misurina. Ecco dove l’ho conosciuto. Ma come è cambiato! Me lo ricordavo più grasso e con qualche brufoletto. Ma quanti anni aveva? Forse 17 o 18…mah. E anch’io, 16 o 15. Adolescenti, insomma. Quello che mi ricordo più di tutto sono le nuotate nel lago. Freddo, gelato. I tuffi dal pontile e le gite in barca. Si, credo di essere stata proprio felice in quei momenti.
Ma non è mai successo niente tra di noi, alla fin fine. Solo che lui mi ha tampinato da subito. Ma aveva già la ragazza e faceva parte della compagnia. Lo spudorato. Ma un giorno me lo disse che se lo avessi voluto era disposto a lasciarla anche subito.
Non ricordo come andò, ma a me non piaceva troppo e neppure mi piaceva troppo l’dea di essere una “sfascia famiglie”. Si fa per dire, naturalmente. E poi ricordo che mi divertivo molto a nuotare e anche a ballare e non mi andava di legarmi a nessuno
Guardavo dentro la tazza, ora. Il mio the stava diventando freddo.
“Ma tu che cosa fai da queste parti”?
“Sono un finanziere, mi hanno trasferito qui da qualche giorno”.
“Ah, si? E ti piace qui”? Domanda sciocca.
“Bellissimo, si, mi piace molto”.
Mi chiede se abito da quelle parti, rispondo che no, cioè, si, no, sono di passaggio. Mamma mia, questa è pazza, deve aver pensato.
Mi sentivo a disagio, improvvisamente, la vita, tanta, era passata, cosa c’entrava, ora, questo con me? Nulla. E da dove era sbucato? Era durata anche troppo quella strana conversazione. Forse era meglio se mi alzavo e me ne andavo subito, anzi, di corsa. E lo feci lasciandolo con un’espressione un po’ perplessa.
Perché il the era ormai freddo e a me piace caldo. Anche d’estate. E’ un piacere piccolo ma intenso e delicato e a lasciarlo raffreddare perde un poco o tutta della sua piccola, grande magia.