“Secci roversi”

Povera Venezia

Venezia con l’acqua alla gola, letteralmente! Il 12 novembre, 2019, come nel 1966, marea eccezionale, toccato il picco massimo alle 23.00 di 1.87 mt. Il che significa che chi tornava a casa a quell’ora doveva solo nuotare o aspettare a Piazzale Roma che la marea scendesse quel tanto da permettergli di camminare con l’acqua alle ascelle. Qui in terraferma a quell’ora l’acqua scendeva a “secci roversi”, come si dice qui, e il vento ad un certo punto sembrava portarsi via il condominio con annessi e connessi. Faceva paura qui, figuriamoci in Laguna, a qualche chilometro. I veneziani non hanno certo paura dell’acqua: da qualsiasi parte arrivi, non la temono, ma questa è troppa. Troppa grazia o piuttosto disgrazia, Sant’Antonio. Ho visto le immagini della citta’ allagata: fanno paura. La Basilica inondata e i danni, ancora una volta, sono ingentissimi, incalcolabili. Il sindaco ha fatto chiudere le scuole, certo i bambini e i ragazzi non potevano arrivarci in canoa. Ha anche chiesto la stato di calamità naturale. Ma che ci vengono a fare i politici a Venezia: le sfilate sulle passerelle? Sedici anni dopo la posa della prima pietra del MOSE, l’opera definita in tutti i modi più eclatanti, vediamo che non serve ancora a niente, costata cinque miliardi e mezzo di euro. Una vergogna per lo scandalo della corruzione, ora sembra che sia addirittura controproducente, non solo non è in funzione ma richiede cento milioni di euro all’anno di manutenzione! Ma chi ce lo ha fatto fare?

Maria Grazia Gazzato

Leggeremo e ascolteremo di tutto da tutti, nelle prossime ore: dichiarazioni, proclami, inutile cordoglio, scempiaggini tecniche, accuse e scuse, piagnucolii assortiti. Vorrei dire solo quanto mi dispiace, e ricordare quello che di Venezia disse il mio maestro Indro Montanelli, con sarcasmo e molta tristezza, dopo essersi tanto battuto per la città:

«Come scrissi in tempi lontani, e come ormai mi sono stancato di ripetere, Venezia non aveva, per restare Venezia, che una scelta: mettersi sotto la sovranità ed il patronato dell’Onu per riceverne il trattamento, che certamente le sarebbe stato accordato, dovuto al più prezioso diadema di una civiltà non italiana, quale la Serenissima mai fu né mai si sentì, ma europea e cristiana, intesa unicamente alla conservazione di se stessa, quale tutto il mondo civile la vorrebbe».

La vicenda del Mose – anch’io, una decina di anni fa, sono stato portato a vederlo, come se si trattasse di un’opera pronta all’inaugurazione – nelle prossime ore aggiungerà amarezza all’amarezza: tutti diranno che la colpa è di qualcun altro.  Come sempre in Italia.

 

Pubblicato oggi su Italians del Corriere della Sera con la risposta di Beppe Severgnini.

3 commenti su ““Secci roversi””

  1. Denuncia appassionata e soprattutto veritiera, piange il cuore a vedere un gioiello come Venezia sommerso dall’acqua marina. In quasi un ventennio non si è riusciti a completare un’opera che a conti fatti costerà otto milioni di euro, è una vergogna e un’infamia che grida vendetta.
    Si resta poi sconcertati a sentire parlare di “pittime” e di “veneziani che non avrebbero a cuore la città”. Parole ciniche che per fortuna non scalfiscono la solidarietà espressa da tanti altri.

    RISPOSTA
    la “pittima” era uno che si occupava di recuperare i crediti e per questo è diventato una figura retorica. Si dice una pittima di chi ti sta sullo stomaco, di una persona antipatica, molesta, fastidiosa, appunto una pittima. Da noi in Veneto è un’espressione molto usata proprio a questo fine.
    Si dice anche “non fare la pittima”

    Rispondi

Lascia un commento