Ho l’impressione che la riconoscenza sia, tra i sentimenti umani, quello meno praticato o sentito.
Perché troppo spesso ci dimtichiamo di ringraziare chi ci ha fatto del bene. Magari sul momento sentiamo anche gratitudine, ma poi, molto in fretta lo scordiamo.
Riconoscere di avere ricevuto bene in un momento di bisogno, non è sempre da tutti e non sembra neppure facile.
Perché anche ringraziare, a volte, può risultare difficile. Non si sa come farlo, se tangibilmente con un regalo, per esempio, o con un biglietto di ringraziamento oppure con qualsiasi altro gesto che serva a dire a quella persona particolare che le siamo grati per averci sostenuto ed aiutato in momenti difficili.
Subentra, troppo presto, la quotidianità che ci fa dimenticare tutto.
Eppure un sentimento di gratitudine, fa bene soprattutto a chi lo prova. E’ una bella sensazione di apertura verso l’altro, non solo chi ci ha aiutato ma anche di riflesso verso tutto il genere umano. Perché la gratitudine è un sentimento universale,che affratella.
Per questo esprimerla è importante.
Un vecchio proverbio veneto dice che se vuoi mantenerti un amico fa in modo che non ti debba mai essere grato: non prestargli mai dei soldi.
Sembra un controsenso, ma, spesso il fatto di dover restituire qualcosa o di dover dimostrare gratitudine può addirittura rovinare anche le amicizie più consolidate. Anche perché c’è il rischio che non te li ritorni mai e si “dimentichi” che tu esisti.
Da bambina mi dicevano spesso che dovevo sempre salutare e ringraziare, ma in quale ordine, non me lo spiegavano. E ricordo un imbarazzo tremendo solo per indovinare quando dire buongiorno, buonasera, grazie…arrivederci, poi, non ne parliamo, era una vera tragedia perché non riuscivo a capire il senso della parola, la sentivo dire da mia madre o dai nonni, ma, cosa volesse dire, non lo capivo.
Arri…vederci? Mi suonava strana, non capivo il senso di “arri”, capivo, certo, quello di vederci, nel senso di trovarci, stare insieme, parlare, farsi compangia.
Ma a me bambina sembrava un termine troppo “adulto”. E ancora adesso faccio fatica a dirlo perchè mi sembra sempre inadeguato.
Ma, a prescindere da questa personale digressione sui termini, rimane il fatto che la riconoscenza è un sentimento sempre più trascurato.
Sembra davvero che nessuno debba mai niente a nessuno. E’ passata di moda? E’ una cosa di altri tempi?
O è davvero cosi “personale” da non dover essere manifestata?
Ma se non viene manifestata che senso può avere?
Io provo gratitudine verso un sacco di gente, ma non farò l’elenco, sono cose private e chi mi legge può ben capirlo.
Concludo con una canzone dei Beatles che è un vero capolavoro non soltanto per l’armonia e le parole ma perché è “misteriosa” e ripete un concetto che ha,secondo me, in qualche modo a che fare con il concetto di riconoscenza.
“Don’t carry the world upon your shoulder”. Cioè: “Smettila di portare il mondo sulle tue spalle”. E’ un verso di “Hey Jude”, uno dei brani maggiormente riusciti e forse più noti del quartetto inglese, i ” Fab four”.
Che c’entra con la riconoscenza?
Beh, c’entra primo perché ai Beatles devo tantissimo e gli sono gratissima per i capolavori immensi che ci hanno regalato e poi…perché ascoltandola, nel tempo…ho smesso di “portare il mondo in spalla”.
Vi pare poco?
Riconoscenza e senso di colpa.
La riconoscenza pesa perché suscita sensi di colpa. Il beneficiato sente di dovere restituire qualcosa e se non può ecco il senso di colpa.
Fà il bene e dimenticalo, solo così il bene raggiunge il suo vero scopo.
D’altro canto questo senso di colpa può nascere da un eccesso di responsabilità.
Il caricare una persona, o il caricarsi da sé, di troppe responsabilità può suscitare un senso di inadeguatezza, da cui il senso di colpa.
Ecco il significato dell’esortazione “Don’t carry the world upon your shoulder”.
“Scaricati dai sensi di colpa e vivi la tua vita liberamente”.
RISPOSTA
GRazie Alessandro ne hai dato una bella spiegazione. E’ proprio quello che intendevo.
Ci sono quelli che si portano il mondo in spalla e sono tanti, quelli che aiutano gli immigrati a non morire in mare per esempio ed è sempre più difficle con l’egoismo che divide et impera.
Io preferisco Let it Be, comunque.
A proposito di prendersi il mondo sulle spalle, mi ricordo di un’espressione citata in uno dei tanti corsi di management che si fanno in azienda.
l’espressione era “prendersi le scimmie sulle proprie spalle” oppure “scaricare le scimmie sulle spalle altrui”. E’ un fenomeno che nel campo del lavoro si incontra spesso, e riguarda due tipologie di persone: quelle che cercano di deresponsabilizzarsi al massimo, e quelle che invece tendono ad accollarsi tutti i problemi anche se non hanno il tempo di occuparsene.
Ne ho conosciuti di questi tipi, spesso al primo tipo appartengono i capi, al secondo tipo i subalterni. In questo caso si tratte di delega eccessiva, un capo che approfitta della disponibilità del sottoposto. Ma se invece la delega è fatta nelle giusta misura risulta benefica.
Ma a volte lo lo scarico di scimmie avviene tra colleghi, specie quando i compiti non sono ben definiti o presentano zone di intersezione di competenze. In tal caso il rapporto è tra furbo e ingenuo, tra volpe e agnello. Ovviamente, quando poi il reparto si inceppa, chi ne fa le spese è l’agnello che non riesce a giustificare perché non ha concluso nulla. La volpe invece la farà franca perché quel poco che ha fatto è riuscito anche a presentarlo bene.
Ora che ricordo bene, non si trattava di una favola di Esopo, ma di un corso chiamato “Time manager” e insegnava a sfruttare al meglio il proprio tempo.
RISPOSTA
…e il prossimo.