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Ci si aspettava l’attacco di Thibaud Pinot che nella tappe pirenaiche era sembrato il più brillante, ma il francese, dolorante ad un ginocchio e piangente, ha dovuto arrendersi fin dalle prime battute.
S’è poi visto scattare Geraint Thomas, il capitano della Ineos, secondo in classifica generale, ma il suo tentativo è presto rientrato, mentre passava al contrattacco il giovane Bernal, addetto alla sua “assistenza” (non mi piace chiamarlo gregario) che, con un’azione progressiva, sulla lunghissima salita dell’Iseran, sgretolava a poco a poco la comitiva a cui si accompagnava e, rimasto solo, passava per primo sotto lo striscione del Gran Premio della Montagna, mentre Il suo vantaggio su Alaphilippe era tale da strappargli dalle spalle, virtualmente, la maglia gialla.
Ma la tappa non era affatto finita, dopo una lunghissima discesa, occorreva ancora scalare la Montée de Tignes, altra dura salita, dov’era posto l’arrivo.
Ed ecco il coupe de théatre finale, mentre Bernal già fila via, lungo i tornanti sul ciglio dei burroni, mentre la maglia gialla ancora arranca in salita, ecco che qualcosa d’insolito serpeggia tra i corridori, le moto del seguito sopravanzano i corridori gesticolando, qualcuno si rialza, la ammiraglie li affiancano, c’è uno scambio di gesti e di parole, chi si ferma, chi prosegue.
Che succede? Succede che una tempesta si abbatte proprio sulle strade dove stanno per sopraggiungere i corridori, sarebbe un disastro farli proseguire, la gara è sospesa, ma non annullata, sarebbe una beffa per il ventiduenne Bernal: il passaggio sotto il Gran Premio della Montagna sarà considerato l’arrivo.
Bernal è quindi la nuova maglia Gialla. In fondo è giusto così, che un giovanissimo si aggiudichi(salvo sorprese domami) il Tourdei decani, e che la sentenza l’abbia emessa il tetto del Tour il gigante Iseran coi suoi 2770 m di altezza.
Bene il Tour non è finito, è finito però il mio racconto. Ma per questo ci sono i giornali.
Alessandro Stramondo
Eccolo Bernal:
(Foto ripresa da The Guardian)
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Ho pubblicato questo bel racconto della grandinata sul tour di Alessandro perché mi sembrava veramente coinvolgente (anche se a me il ciclismo non appassiona) e perché le grandinate su chi fa già una fatica immane quando c’è il sole, mi sembrano incidenti di percorso degni di rilievo. Specie quando avvengono sui “rilievi” e sono spaventose (ne ho visto uno scorcio in Tv, veramente impressionante).
Il Tour, ieri, aveva consacratato Bernal quale vincitore della Grande Boucle, ma non aveva detto ancora l’ultima parola.
Questa è venuta oggi -Nibali- la parola che urlavano due ali di folla inneggianti in vetta a Val Thorens, quella stessa parola che dinanzi lo schermo Tv è uscita di bocca a me: “Forza Nibali!” quasi mi potesse sentire.
Il fulgido trionfo di ieri della Maglia Gialla, il ventiduenne colombiano Bernal, oggi è passato in secondo ordine, oggi è stata l’impennata d’orgoglio del sicilano a entusiasmare e commuovere, man mano che il vecchio campione forzava l’andatura e staccava il gruppetto con cui aveva iniziatola fuga, e poi, stringendo i denti, riusciva a contenere la rimonta degli uomini di classifica.
C’è stato un momento che non credevo più ce la potesse fare, queltraguardo era troppo lontano, non arrivava mai, e il vantaggio da due minuti scemava via via…un minuto…30 secondi…15 secondi…Dietro, gli inseguitori si davano il cambio, prima Yates, poi Soler, poi Landa, tutti a pedalare con veemenza alla caccia di Nibali.
Alla fine ecco Valverde, è lanciatissimo, gli è a ridosso… ma il siciliano ha già tagliato il traguardo, è primo con dieci secondi di vantaggio, stremato nasconde il viso tra le braccia, piegato sul manubrio. Una vittoria che lo riscatta da tante amarezze e che dà un senso e questa sua partecipazione, accettata di malavoglia, quasi forzata dai dirigenti della sua squadra.
Per un anziano che esce con onore, un giovane che si afferma con grande umiltà: l’esile Bernal -60kg di peso per 175 cm di altezza- era partito come gregario di Thomas, aveva corso quasi in sordina, è uscito fuori all’ultimo con forza, ma anche con una tattica intelligente da veterano. Al traguardo c’era ad attenderlo la bella fidanzata, erano felici, lei nell’ aspetto mi ha richiamato la comandante Carola, tranne per i lunghi capelli boccoluti.
Domani a Parigi sarà gran festa per loro. E anche per Nibali.
Oggi finisce il Tour, questa grande avventura che avvince, non solo gli appassionati di ciclismo, e che si snoda lungo il paesaggio francese reso più affascinante dalle riprese dall’alto, campagne rigogliose, magnifiche pianure coltivate, dolci ondulazioni collinari, architetture che conservano lo stile locale, rispetto della natura e del paesaggio, rilievi montuosi, più o meno impervi, castelli, cattedrali svettanti, zone selvagge e zone deserte.
Poi quel serpente stradale grigio che scorre tra boschi e coltivazioni e la folla che lo punteggia, che si esalta ed applaude etusiasta, e i borghi in festa, in attesa del passaggio dell’altro serpente variopinto, i corridori, e quelle composizioni fatte con balle di fieno, mezzi meccanici o altro, che mostrano scritte di saluto o frasi augurali, testimonianza della partecipazione popolare ancora intensa.
L’ultima tappa è ormai da molto tempo considerata una sorta di passerella che si accende solo nel finale per l’ambito traguardo di Parigi, trofeo per velocisti puri, i migliori, quelli che hanno resistito fino al completamento della massacrante gara magari nei posti bassi della classifica generale, ma ancora motivati dall’ultima prestigiosa vittoria ai Champs Elisée
È successo solo due volte che l’ultima tappa designasse la maglia gialla, nel ’47, una coalizione della squadra francese contro Brambilla, italiano con passaporto francese, consegnò la maglia gialla a Jean Robic; è successo anche nel’68 a Jenssen, anno in cui l’ultima tappa si svolgeva a cronometro.
Un tempo l’ultima tappa era tradizionalmente la più lunga, si voleva dare un’ultima possibilità di vittorie ai passisti. Ricordo nei due Tour vinti da Fausto Coppi, nel ’49, la Nancy-Paris di 340km, è nel ’52, la Vichy-Paris di 354km.
Altri tempi.
La tappa di oggi, la Rambouillet-Paris, è di appena di 120km, roba per ragazzi, ma non tanto… lascia più spazio a divagazioni quali brindisi con coppe di champagne da parte dei corridori in piena gara.
Però nel circuito cittadini che conclude la tappa si scatena la bagarre mentre scorrono le immagini di Parigi che dedica al Tour tutta se stessa.
Suggestiva la vista dai giarfini delle Tuileries di Place de la Concide con l’obelisco, degli Champs Elisée fino all’Arc de Triomphe sullo sfondo dei grattacieli della Defence.
In un cielo ancora chiaro vince in volata il piccolo Caleb Ewan,velocista anomalo per peso e per statura. È alla sua terza vittoria di tappa.
Poi la premiazione, prima i trofei minori( da segnalare la maglia verde di Sagan, vittorioso per la settime volta cosecutiva), infine la magli gialla, Bernal, 23 anni, colombiano: è tanto umile quanto commosso, al microfoni ringrazia nell’ordine, l’Italia (dove s’è formato come ciclista), la Colombia e la Francia.
Bene, il Tour è finito:
“Arrivederci Tour!”
RISPOSTA
Bravo Alessandro, stavi cominciando a farmi appassionare. C’è molto di più di una gara di ciclisti dietro a questo sport.
Ho richiamato l’articolo sul Tour, per ricordare la scomparsa di un grande campione del ciclismo, Felice Gimondi.
Bergamasco di nascita, soleva trascorrere le vacanze in Sicilia, ma quest’anno il mare di Giardini-Naxos (dove fu la ridente colonia greca fondata dai calcidesi ancor prima di Roma), gli è stato fatale: un tuffo, un malore, e il cuore del campione aduso a mille fatiche, ha cessato di battere.
Benché gli avessero messo l’appellativo di “eterno secondo”, aveva vinto tre Giri d’Italia, un Tour de France, una Vuelta di Spagna, un campionato mondiale su strada.
Fu il più grande rivale di Merkx, “il cannibale”, che spesso lo relegò al secondo posto, da cui l’appellativo, ma questo l’ha reso ancora più grande, perché per tenacia e combattività non gli fu affatto da meno.
A proposito di Merkx, è luogo comune considerarlo il più grande campione ciclista di tutti i tempi.
Mi permetto di dissentire: per me (ma non sono il solo) il più grande campione di ciclismo fu Fausto Coppi -le sue fughe solitarie e i distacchi inferti agli avversari non hanno uguali- anche se conquistò meno vittorie del belga: ma non bisogna dimenticare che la guerra gli sottrasse cinque anni di carriera, sia per la prigionia, sia perché al suo ritorno l’attività ciclistica era molto ridotta.