Piove. Da due giorni. E non mi viene voglia di uscire. E allora scrivo su questo spazio che mi sono dedicata. Si, dedicata. Una sorta di gratificazione. In fondo si tratta di desiderio di comunicare.
Siamo la società più interconnessa di sempre, abbiamo molteplici possibilità di comunicare col mondo e non ci siamo mai sentiti cosi soli.
Perchè viviamo tutti come dentro una conchiglia e facciamo entrare solo qualche spruzzo, di tanto in tanto.
Non frequento i social, mi fanno paura. Hanno, di sicuro del positivo. Molti sono diventati famosi e guadagnano anche delle belle cifre sui social, oppure sono (troppo) frequentati dai politici di ultima generazione che li sfruttano per propagandarsi. In questi tempi in cui manca il lavoro con la L maiuscola, bisogna inventarsi di tutto per sopravvivere. Ma, molti, mirano a fare i “soldi”, come se fare i soldi fosse l’obiettivo principe di ciascuno.
Se non fai i soldi non esisti. E poi la fama. Ha, ecco, si, la fama, la celebrità, che si parli anche male di te,ma che se ne parli. In tutti i campi, c’è chi cerca di diventare famoso. Come se la celebrità, automaticamente rendesse felici.
Perché, poi, a voler ben guardare, quello che cerchiamo tutti è la felicità.E che cosa sarebbe la felicità?
Ognuno la vede a modo suo, i grandi filosofi ci hanno lasciato tomi che ci spiegano che cosa sia la felicità.
“E dunque,in conclusione, la felicità consiste in una sorta di contemplazione”, Aristotele – Etica Nicomachea.
Blaise Pascal, nei Pensieri, dice: “Non consiste, dunque, la felicità nel divertimento, sarebbe davvero assurdo che il fine fosse il divertimento e ci desse d’attorno e ci si affannasse tutta la vita con lo scopo di divertirsi”
E, ancora. Aristotele: ” La felicità consiste nelle attività conformi a virtù”.
Allora, ne deduco che qualsiasi attività umana, per arrivare alla felicità, dovrebbe evitare di cercare il divertimento a tutti i costi ma puntare ad azioni che siano contemplative e servano all’anima.
Lo studio, per esempio, la scrittura, la poesia, la filosofia e tutto ciè che comporta un’attività cerebrale che però implichi anche una sorta di spiritualità.
Niente è regalato, tutto si deve conquistare e mantenere e vale anche per la felicità. Che può essere anche una spasmodica ricerca senza fine e senza esito.
Perché scrivo queste cose? Potrei anche farne a meno, in fondo a chi possono interessare? Lo faccio per me, diciamo che mi serve a vedere le cose da una diversa prospettiva o sotto una luce che le illumini diversamente e mi aiuti a ragionare sulle tante, piccole o grandi problematiche quotidiane.
Che mi aiuti ad essere più comprensiva di certi comportamenti umani che mi sono francamente incomprensibili e che ho imparato semplicemente ad accettare come inevitabili ma che, anche se non lo vorrei ammettere, mi causano sempre un po’ di sofferenza.
Non esiste l’ideale nelle relazioni umane ma dovrebbe esistere un principio di civiltà che impone sempre di cercare di vedere oltre le proprie convinzioni per comprendere certi fenomeni della società.
Ognuno di noi crescendo e maturando si forma la propria visione delle cose e ognuno di noi la difende e spesso la vorrebbe imporre agli altri. Da questo nascono prevaricazioni, imposizioni, incomprensioni che si potrebbero evitare semplicemente cercando di comprendere e anche di modificare certi atteggiamenti in funzione di una migliore relazione col prossimo.
Ma è molto, molto difficile. E’ difficile perché ognuno resta a coltivare il proprio giardinetto privato e cerca di tenerci fuori quanti più possible non la pensino allo stesso modo. E diventiamo sempre più incapaci di includere e sempre più propensi a escludere. Pensare che sia giusto omologarsi, restare dentro il più possibile al pensiero corrente, per paura di essere messi al bando è la cosa peggiore che si possa fare.
Non importa cosa gli altri pensano di noi, quello che importa è che noi riusciamo a mantenerci nella nostra identità anche quando tutti vorrebbero che fossimo diversi.
Ecco, forse sono arrivata ora a capire perché sto scrivendo questa cosa: forse perché mi ostino, in certe occasioni a sentirmi inadeguata o “diversa” mentre la cosa più giusta da fare è quella di considerare che la diversità è una grande occasione per migliorare e per progredire nel nostro cammino. Senza lasciarci influenzare da chi ci vorrebbe diversi.
Perché chi ci vuole diversi lo fa perché non accetta e non comprende se stesso e pensa che cambiando noi potrebbe ottenere quella comprensione di sé che gli manca.
Perché in fondo, la gente invidia chi non si adatta ad essere come vorrebbero gli altri. E l’invidia, come la gelosia è un sentimento meschino che non aiuta a vedere le potenzialità che ognuno di noi ha in sé.
E conoscere e conoscersi è lo scopo della nostra vita.
Almeno, io la vedo cosi, voi, non so.