Camminando per le vie del centro, nei pressi dell’ospedale della mia città, un luogo molto verde e ricco di bei giardini, ho assistito a queste scenetta: un papà ed un bambino in bicicletta (ognuno nella propria), casco per entrambi ed equipaggiamento adeguato, si fermano ad un passaggio pedonale davanti alla bella villa che ospita un giardino pubblico per attraversare la strada, un’ambulanza si ferma per lasciarli passare, ma l’uomo fa cenno all’autista di passare pure, che avrebbe aspettato.
Ho notato la faccia un po’ perplessa del conducente del mezzo di soccorso ma poi ha alzato la mano in segno di ringraziamento ed ha proseguito verso la sua meta poco distante.
Avrei voluto dire un “bravo” a quell’uomo, davvero un ottimo esempio per il bambino che gli correva accanto.Dopo avergli insegnato che si attraversa la strada sulle strisce pedonali, gli ha anche insegnato che i mezzi di soccorso, anche se non hanno la sirena in funzione è buona regola lasciarli passare per primi, sempre e comunque.
E mi sono anche chiesta perché abbia fatto quel gesto, cosi evidentemente spontaneo ed empatico. Forse si tratta di un collega che sa quanto sia difficile e delicato il lavoro di chi presta soccorso ed ha a che fare tutto il giorno col traffico cittadino non sempre disposto a lasciarlo passare e non sempre pronto a farlo nonostante viaggi a sirene spiegate mentre lotta contro il tempo e sa che anche un minuto può essere prezioso per salvare una vita?O forse, semplicemente e più verosimilmente si tratta di una persona sensibile ed educata ai valori della solidarietà tra lavoratori o nei confronti di chi salva vite umane per mestiere.
E mi è tornato in mente un episodio che mi riguarda. Durante un ricovero ospedaliero, qualche anno fa, ho avuto bisogno di più di un trasporto con l’ambulanza. Uno di questi lo ricordo in modo particolare. Il barelliere era una signora, giovane e carina e molto gentile. L’autista era un uomo e molto gentile anche lui. Faceva molto caldo perché era luglio proprio come adesso e ricordo la simpatia e la “cura” nei miei confronti. Non potendomi muovere mi hanno aiutata in tutti i modi e dopo avermi sistemata nel reparto a cui ero destinata, la ragazza è tornata (dopo circa una mezz’ora) per riportarmi delle ciabatte che avevo dimenticato di inserire nel borsone e me le ha porte con un sorriso dicendomi: “signora le aveva dimenticate, ho pensato che le servivano e sono tornata a portargliele”.
Ovviamente l’ho ringraziata di cuore sapendo che aveva dovuto rifare un lungo tragitto, probabilmente a piedi e sotto al sole e il caldo per raggiungere nuovamente quel reparto e che avrebbe potuto lasciare l’incombenza ad un familiare o ad una infermiera. E’ stato un gesto che mi ha profondamente commosso e la vorrei ringraziare ora idealmente e già che ci sono vorrei anche ricordare e ringraziare tutti, medici ed infermieri e barellieri e conducenti d’ambulanza che ogni giorno ed ogni notte prestano il proprio servizio ai malati con dedizione, professionalità ed impegno.
E ringrazio quel signore che ha compiuto quel gesto cosi bello, soprattutto in questi tempi dove la fretta la fa da padrona e l’indifferenza sembra essere il sentimento prevalente.
Un piccolo gesto che può fare la differenza.
Piccoli gesti che valgono e si ricordano.
L’aver dato la precedenza a chi ne ha bisogno, come pure il gesto di portare le pantofole dimeticate nel trambusto di un ricovero, ci dicono che non siamo automi programmati, magari in modo efficiente, ma rigido, bensì uomini chiamati a decidere di fronte ad un imprevisto o un’anomalia con la ragione, con l’istinto, col cuore.
Mariagrazia, è significativo che di quel tragico momento della tua vita, ti ricordi del gesto “minimo”, della barellista, ma importante perché non ti ha fatto sentire un numero, un gesto da essere umano a essere umano.
Davvero un bel gesto, quella ragazza me la ricordo benissimo e mi ricordo anche il suo sorriso e la sua generosità. In certi frangenti si incontrano delle persone che non si incontreranno mai più ma che ti lasciano un ricordo indelebile. Le sono molto grata.
Dopo l’intervento di protesi al ginocchio, a Reggio Emilia, mi hanno trasportato in ambulanza in una struttura per la rieducazione. Il veicolo era guidato da un 82 che erano 50 che faceva il volontario. L’altra volontaria era una signora, che mimraccontò del marito, con un diabete micidiale, per cui gli avevano già amputato alcune dita del piede. Piangeva in silenzio, io le tenevo le mani, cercavo di rincuorarla. La feci ridere, facendo il verso a certe parole del dialetto reggiano e con una barzelletta in parmigiano. Erano gentilissimi, mi ressero in piedi fino al terzo piano. Mi torna sempre in mente, lei , con quel povero marito.
A proposito di soccorsi.
Open Arms , costretta a girovagare nel Mediterraneo perché ha trovato i porti chiusi, ora naviga verso la Spagna, dopo aver rifiutato di usufruire del porto di Catania.
Salvini: “Hanno qualcosa da nascondere?”
Risposta della ONG: “Non ci fidiamo di Salvini”.
Intanto in questo gioco a “mosca cieca” si continua a morire.
Si, ho sentito, davvero una situazione paradossale e c’è anche chi ancora dice che questo è il metodo giusto. A me sembra che siamo tornati al medioevo delle idee.