Ipocrisia

Si parla spesso di assenza di meritocrazia in Italia. Ma che cos’è la meritocrazia? Dovrebbe essere l’attribuzione dei meriti che qualcuno si guadagna con l’impegno. Per fare un esempio banale: chi lavora sodo per un obiettivo, o studia pe raggiungere ottimi risultati, chi tralascia i divertimenti per impegnarsi in attività che siano in una parola “meritorie”. E perché siano meritorie devono, necessariamente passare attraverso molto sforzo personale.

Da bambini ci dicevano: studia e vedrai che l’impegno ti verrà riconosciuto. Si trattasse di un bel voto o dell’approvazione degli insegnanti o anche solo della sensazione appagante di aver fatto il proprio “dovere”, l’impegno personale, comunque “pagava”.

Ma poi, crescendo, si scopre che l’impegno è solo un aspetto marginale della riuscita in ogni campo. In Italia, da qualche decennio ormai vige una massima cara al sociologo Bourdier: “il faut connaitre”. Ma non nel senso che diamo alla “conoscenza”, ma nel senso più volgare di “conoscenze”. Cioè, amici, familiari o quant’altro, che ci possono eventualmente “raccomandare”. In Italia la raccomandazione è un lasciapassare per molte carriere. Ormai si sa è. persino una banalità. Ma, in genere, si tende a giustificarla con la pretesa che si tratti, semplicemente di “referenza”, di suggerimento dato senza nulla a pretendere e che anzi, la tanto vituperata raccomandazione in fondo sia solo un aiuto per chi si trova nella condizione di valutare tra più candidati.

Si tratta di ipocrisia. Ma l’ipocrisia non è in generale mal vista in Italia. I politici ne fanno quasi una bandiera. Fanno a gara a chi si industria di più a dire “false verità”. Verità inventate manipolate a uso e consumo di una certa tesi.

Questo vale per la raccomandazione che, in fondo, quasi sempre, certifica competenze che non esistono pur di far passare quella data persona in un ruolo che altrimenti non potrebbe ricoprire.

I “meriti personali” sono relativi o addirittura mal visti. E, in molti campi, soprattutto in epoca di internet, si tende a copiare e avvalersi del lavoro e dell’impegno degli altri per ben figurare. Ormai è una prassi. Tutti scopiazzano tutti. E’ quasi una gara. Benché il plagio sia un reato, in molti, non si fanno scrupolo di” rubare” idee, frasi, addirittura intere tesi di laurea, e quando vengono scoperti, come nel caso di qualche politico italiano, tutto viene presto messo a tacere come se la cosa non fosse grave o gravissima, ma un piccolo peccatuccio dal quale si viene assolti subito e subito dimenticato.

In Italia si può scopiazzare gli altri e farla franca. Ci si giustifica col “così fan tutti”.

Ma io lo trovo disdicevole e una negazione del diritto di ognuno di esprimere liberamente la propria creatività e il proprio ingegno ottenuto con fatica, con l’applicazione costante allo studio e “rubare” scientemente l’opera di altri per ottenere dei benefici o anche solo l’approvazione altrui o per passare un esame o qualsiasi altro fine, è, a mio avviso, oltre che un reato, una cosa di una meschinità rivoltante.

E la competizione sana, che si avvale veramente del “merito” viene svilita dalla incapacità di alcuni di produrre idee proprie e dalla capacità di “falsificare” quelle altrui.  Tanti vanno avanti nella vita avvalendosi, naturalmente di nascosto, dell’opera inconsapevole di altri molto più brillanti di loro, ma molto meno furbi.

L’astuzia è purtroppo una qualità che, se in alcuni casi può servire a fini positivi, nella maggior parte dei casi è un mezzo per ingannare e procedere nella vita aggirando gli ostacoli e ottenere vantaggi che altrimenti sarebbero molto più difficili da ottenere e richiederebbero molto più impegno.

Fino a che  non sarà veramene dato il giusto valore  al” merito”, ma si  continuerà a far prevalere l’ipocrisia di aiuare gli “amici” o gli amici degli amici o i parenti di…, l’Italia sarà sempre (pur con una solida minoranza silenziosa e positiva) un paese di arraffatori di piccolo cabotaggio, di personaggi meschini e tartufeschi, di “furbetti” e di ipocriti col pedigree e non avanzerà mai a livello di altre nazioni che della raccomandazione, della scopiazzatura, della “buona parola”, in ultima  analisi, dell’ipocrisia diffusa del “chiudere un occhio”, ha orrore e chi viene trovato in castagna viene severamente punito o cacciato senza appello.

 

2 commenti su “Ipocrisia”

  1. Hai descritto in quadro molto veritiero ed esaurente di questo atteggiamento molto diffuso e così moralmente riprovevole.
    Purtroppo dilaga sotto varie forme, dalla raccomandazione nuda e cruda al più raffinato “politically correct”.
    Altro che meritocrazia! Va avanti la furbocrazia, di chi non si fa scrupoli di usare l’arroganza del potere o di che per affermarsi si avvale dell’appoggio di “cricche” compiacenti in barba all’onestà intellettuale e alla correttezza dei rapporti umani.
    Buona giornata.

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  2. Nel canto XXIII dell’Inferno, Dante descrive gli ipocriti piangenti e derelitti, appesantiti da cappe, dorate all’esterno tanto da abbagliare, ma fatte di piombo, così pesanti da far apparire leggere quelle che Federico II faceva porre ai condannati per lesa maestà.

    “Là giù trovammo una gente dipinta
    che giva intorno assai con lenti passi,
    piangendo e nel sembiante stanca e vinta.

    Elli avean cappe con cappucci bassi
    dinanzi a li occhi, fatte de la taglia
    che in Clugnì per li monaci fassi.

    Di fuor dorate son, sì ch’elli abbaglia;
    ma dentro tutte piombo, e gravi tanto,
    che Federigo le mettea di paglia.

    Oh in etterno faticoso manto!
    Noi ci volgemmo ancor pur a man manca
    con loro insieme, intenti al tristo pianto;

    ma per lo peso quella gente stanca
    venìa sì pian, che noi eravam nuovi
    di compagnia ad ogne mover d’anca.

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