Orizzonti

Questa mattina, mentre tornavo a piedi dal centro, mi sono imbattuta in un uomo che accompagnava a mano un bellissimo cavallo grigio scuro, con una coda lievemente più chiara che, ho notato subito, era stata pettinata di fresco.

Lui sembrava più un ragazzo, un hippy fuori tempo e dal tempo. Sulla groppa il cavallo, portava una sella sulla quale erano appoggiati e affastellati degli indumenti e coperte. L’uomo portava in spalla un grosso zaino che probabilmente conteneva una tenda canadese.

Sul momento ho pensato  a qualcuno del maneggio che si trova poco lontano dal centro, ma, guardando meglio quella strana coppia mi sono a ricreduta. No, i cavallerizzi del maneggio sono vestiti alla “cavaliera”, sono dei fighetti vestiti  all’ultima moda, con stivaloni alla coscia.

Quest’uomo non aveva proprio l’aria di uno che frequenta o gestisce maneggi.

Aveva piuttosto l’aria di un giramondo. Uno che prende la strada e va, parte alla ventura e quel che accade, accade.

Che dorme dove capita, mangia altrettanto, si muove a cavallo per strade non battute dal traffico, anche perché i cavalli faticano a correre sull’asfalto. Per cui deve cercare strade alternative attraverso la campagna.

Campagna che dalle nostre parti è sempre più assediata dal cemento e scompare dal paesaggio, nottetempo.

Nel nordest, famosa locomotiva d’Italia, l’industria ha da tempo preso il sopravvento e cancellato un paesaggio cantato dai più grandi poeti.

Non so da dove provenga l’uomo col cavallo, poteva venire da qualsiasi parte, ma se è partito a cavallo significa che proviene da un paese dove gli spazi verdi sono molti, dove ci sono ancora percorsi in terra battuta, dove ci sono boschi e praterie, dove ci si può sentire  liberi, a contatto della natura.

E mi sono tornati in mente i miei ricordi di bambina quando correvo sui prati intorno alla casa dei nonni e dove l’orizzonte mi sembrava sconfinato e le mie aspettative del futuro erano di sentirmi sempre cosi libera, di poter camminare o andare in bicicletta in lungo e in largo.E invece ora mi ritrovo a guardare quella strana coppia, camminare nelle strade della mia città; una presenza quasi surreale e a provare invidia.

E risentimento verso chi mi ha portato via i miei sogni di bambina, verso chi ha distrutto un paesaggio tra i più belli d’Italia e continua a farlo, nonostante tutti i richiami degli ambientalisti e non solo ad uno stop al consumo di suolo, mentre il cemento lo ricopre ancora al ritmo di 8 mq al minuto.

Quella strana coppia, mi ha ricordato un incidente che ebbi all’età di tre anni. Un giorno mentre andavo in bicicletta con la mamma che mi portava sul seggiolino, un cavallo ci ha tagliato la strada improvvisamente e ci è venuto addosso colpendo la mamma ad una gamba e me ad un piede.

Sono rimasta svenuta per qualche minuto. Ricordo il forte dolore alla caviglia e l’odore di aceto. Ricordo anche il contadino, proprietario del cavallo, che mi stava vicino quasi piangente e mi guardava mentre aspettava che rinvenissi.

Da quel giorno i cavalli mi fanno un po’ paura, ma allo stesso tempo mi piacciono moltissimo, li trovo delle creature insuperabili per fascino e bellezza e qualche volta vorrei essere come loro e partire al galoppo verso praterie sconfinate.

E invece,mi ritrovo, ingabbiata nel traffico delle tangenziali, le quali si chiamano cosi per tangono le città e i paesi e se permettono alla gente di spostarsi velocemente, hanno deturpato, però, il panorama per sempre e ci hanno privati della libertà di muoverci per sempre.

E tutti quei “cavalli” meccanici sputano nell’aria sostanze velenose inquinandola e minando la nostra salute.

Come sarebbe bello tornare indietro a qualche decina di  superstrade fa.

 

 

6 commenti su “Orizzonti”

  1. Un immagine surreale, un Cavaliere Solitario col suo bel cavallo grigio, proveniente chissà da dove, che s’inoltra nel traffico cittadino.
    E subito riaffiora, uno spazio libero, un mondo da percorrere e da esplorare, il desiderio di conoscere, il richiamo dell’avventura, in contraposizione all’idea di libertà tradita, a una civiltà opprimente, a una natura offesa.
    E insieme ecco il richiamo al proprio vissuto, al nostro mondo trascorso, irrimediabilmente perduto, ma che rimane ben impresso nella memoria, il mondo della fanciullezza, goduto e sofferto, il mistero del futuro, le speranze, il loro realizzarsi o il loro infrangersi, in una sola parola, la vita.
    Si, la vita. Basta un accidente che ci distolga dall’attimo del presente, che la vita ci appare come un continuo scorrere -in treno, in auto, a cavallo, in tutte le maniere, non importa- lungo la linea del tempo, là dove si va sempre avanti, senza conoscere fermate, mentre tutto attorno a noi muta, il paesaggio, le persone, le usanze, lo stesso nostro carattere, quasi seza più riconoscerci, se non fosse per quei ricordi e quel continuo cercare il senso della vita.
    Ciao, Mariagrazia, ti sono grato di avere suscitatovin me queste considerazioni.

    Rispondi
    • Grazie anche a te Alessandro. il tuo commento è un’ottima interpretazione che aggiunge qualcosa in più: quel senso della vita che spesso ci sfugge e che però riusciamo a cogliere di tanto in tanto proprio nello scorrere del tempo.

      Rispondi
  2. Il cavallo è un animale magnifico, fiabesco, compagno selvaggio e spumeggiante di eroi mitici. Ha forme scolpite nella leggenda, le frode lanciano dardi di fiamma, ha portato sul dorso superbo generazioni di esseri umani, galoppa nel Walhalla, fosco e tuonante, con le Walkirie guerriere.
    Eppure, qui nel Parmense, ma anche in Lombardia, lo macellano, per farne fettine, stracotti, o, macinato fine, da gustare con condimenti vari, il cosiddetto “cavàl pist. È peggio che perpetrare un rito cannibalico.

    Rispondi
  3. Mariagrazia,
    quel Cavallo e quel titolo, Orizzonti, mi hanno richiamato alla memoria una verde prateria e un bel cavallo bianco che di lontano a poco a poco si avvicina.
    Ero in Svezia, a Malmö dove, dopo 48 ore di viaggio in treno dalla mia Sicilia, avevo approdato col traghetto attraversando l’Øresund, un mare poco fondo, gelido, dalla superficie d’argento, dove uno stormo di gbbiani seguiva sempre le navi che incrociavano.
    L’indomani mi presentai all’Industriverken, l’azienda elettrica di Stato. Mr Olson, capo del personale, mi assegnò ad una squadra di otto operai, capo squadra compreso.  Mi diedero anche una bicicletta, l’avrei usata per tutta la durata dello stage, come mezzo di locomozione.
    Il mattino mi alzavo alle sei, giungevo al posto di lavoro alle sette, da lì in furgone, tenendo la  sinistra lungo la strada(ma ancora per poco, gli Svedesi stavano per uniformarsi alla percorrenza a destra, come la maggior parte dei paesi) ci si recava nella campagna, dove si doveva installare una linea elettrica a media tensione.
    In una roulotte ci si cambiava, indossando tute e stivaloni e, a secondo la fase di lavorazione, ora si scavavano buche profonde con piccone e vanghe, ora col martello pneumtico si dissodava il terreno per formare canali,  ora si predisponevsno i pali elettrici con gli isolatori, ora li si mettevano in posa nelle buche già scavate e vi si stendeva il cavo, e così via, di gran lena (figurati, in breve, i calli nelle mani) fino alle 17, ora in cui finalmente si staccava.
    Durante la giornata  c’erano quattro soste di lavoro, tre più brevi, per prendere un caffè e fumare una sigaretta o fare qualche tirata alla pipa, una più lunga, per il pranzo,  ovvero panini e birra che ognuno si portava  da casa.

    Ora mi chiederai che c’entrano il cavallo e l’orizzonte con tutto questo. Ebbene, si lavorava in una sterminata prateria, sovrastata da un cielo mai visto cosi grande, e quasi ogni dì, un po’ prima di mezzogiorno, lontano, all’orizzonte, appariva un puntino che a poco a poco ingrandiva fino a riconoscervi un bel cavallo bianco, cavalcato da una giovane donna, vestita di tutto punto da cavallerizza, con camicia bianca, pantaloni neri, stivali e frustino, coi biondi capelli al vento. Era il nostro quinto momento di sosta, deponevamo gli attrezzi di lavoro, e ritti all’impiedi attendevamo: lei si avvicinava col suo bianco destriero ci salutava con un cenno di mano ed un bel sorriso e poi al galoppo nuovamente verso l’orizzonte.

    Tutto qui, Mariagrazia. Certo poi ritornati in città e fatta una bella doccia, si dimenticava la fatica, nella consapevolezza d’essere giovani, e si viveva il resto della giornata, ma non vorrei approfittare oltre del blog per farne luogo di ricordi personali.
    Ciao.

    Rispondi

Lascia un commento